TRAMA
San Fernando Valley: in sei anni, fra i Settanta e gli Ottanta, le vicende di una factory del porno.
RECENSIONI
Il piano sequenza è un habitus, e Anderson lo possiede come pochi. Non si tratta solo di tecnica (anche se il regista dovrebbe tenere un corso sull'argomento, e in parte lo fa, attraverso quell'inquadratura iniziale labirintica e 'gratuita', sempre sulle tracce di nuovi ostacoli da superare), ma di uno sguardo alla vita e al cinema che ha poco che fare con le Parche dell'industria filmica (superficialità, fretta, approssimazione). L'inquadratura senza stacchi, senza possibilità di correzioni parziali, senza pause rigeneratrici o svilenti è il vangelo dell'autore, la peculiarità dei suoi personaggi, la causa della loro rovina, l'epitome della bellezza che il cinema può ancora vantare. Il film è una tragicommedia in due atti sul talento dissipato, più che sul cinema o sul porno o - il cielo ce ne guardi - sul sogno americano. Eddie/Dirk ha una dote, e quelli che lo circondano sanno come valorizzarla: fin qui la parte solare della storia, adeguatamente screziata di malinconie (la maternità frustrata di Amber, il desiderio di Scott) ma priva di morbose concessioni al sentimentalismo. Finché il ritmo imposto dal mercato subisce una fatale accelerazione, il cinema cede al video e al reality show (con sorpresa) e il variopinto universo si sgretola, gettando i personaggi nella solitudine, nella disperazione, nel dissolvimento. Ma il destino, si sa, è beffardamente equo, e darà a (quasi) tutti una seconda chance. Anderson prende il tempo (della vicenda, dello spettatore) e lo plasma a suo talento. Due ore e mezza di film possono sembrare un'eternità, spesso lo sono, ma non questa volta. I 155 minuti passano con la rapidità del lampo, perché ogni sequenza, scena, inquadratura contiene tante, in certi casi troppe cose da vedere, sentire, intuire. È il caso del piano sequenza d'apertura, quattro minuti durante i quali vengono 'buttati' in faccia allo spettatore tutti i personaggi principali, una carrellata vertiginosa che inizia su un'insegna luminosa (il titolo del film) e termina sullo sguardo di adamitico stupore di un Wahlberg mai così in parte. Parlando di Bibbia, la storia di Eddie può essere vista come un'irriverente e fedele parafrasi della parabola cristiana, dal conflitto con i genitori ('venne fra la sua gente, ma non fu accolto') al battesimo (il nome d'arte scelto nell'idromassaggio), dalla flagellazione (il pestaggio notturno) alla 'resurrezione' finale (in cui il climax è dato dall'epifania del suddetto talento, inquadrato per la prima volta, come se l'intero film non fosse che una lunga preparazione all'evento). Si tratta di qualcosa di più che una provocazione gratuita: l'amore (per il sesso, gli amici, il lavoro svolto insieme) è ciò che rende gli uomini simili agli dèi. La conclusione è conciliante e decisamente forzata, ma ogni evento è trattato con tale sottile (auto)ironia che è impossibile accusare Anderson di concedere facili sconti a se stesso e alle sue creature, incarnate da un cast mirabile, in cui spiccano Julianne Moore, provocatoria mater dolorosa, e Philip Seymour Hoffman, dolce e goffo come non mai.
Il piano sequenza che apre la pellicola termina sulla pista di una discoteca: è La Febbre del Sabato Sera del cinema porno, perché Tony Manero, alias Dirk Diggler, è tornato e vuole emergere sfruttando il proprio talento di...33 centimetri (che viviamo solo di “riflesso” per tutto il film, tranne il finale). Dopo Larry Flint, anche Anderson (previo cortometraggio-prequel, The Dirk Diggler Story), senza falsi moralismi, rompe il tabù ed i pregiudizi sul settore, cantando gli anni in cui nell'hardcore c'era ancora del "cinema", si girava in pellicola, c'era un racconto (come la serie di film in cui John Holmes interpretava "Johnny Wadd", una fonte d'ispirazione), si recitava (anche). Lo fa sulla falsariga degli Short Cuts (America Oggi) di Robert Altman (con cui il montatore Dylan Tichenor ha fatto apprendistato): il riso può trasformarsi in un grido di disperazione, il ritmo incostante è spezzettato in passi adrenalinici accanto a pause altrettanto repentine, il racconto segue le vicende di più personaggi, fra tagli veloci e montaggi interni. C'è anche una parte centrale dove tutto comincia a girare a vuoto, a ripetersi, a ostentare in modo vanesio se stesso senza aggiungere molto alla sostanza del film: proprio ad immagine e somiglianza degli stilemi del cinema porno. Negli anni ottanta l'introduzione del video decretò la fine della creazione "artistica", di una certa qualità nel genere: in un parallelo simbolico, in quegli anni i personaggi di Anderson (cresciuto proprio nella San Fernando Valley) sprofondano in un baratro dove tutti i sogni s'infrangono, nel mondo esplode la violenza (scorsesiana) e l'intolleranza, tutto annuncia la fine di un'epoca d'oro. Ma il regista preferisce chiudere nell'ottimismo, perché "tutti, nella vita, dobbiamo ricominciare"; finalmente inquadra anche la vera "stella", il "grande" attore di 33 centimetri, accompagnandone l'uscita di scena con l'ironica "Living thing" degli E. L. O. Camei delle pornodive Nina Hartley, Meiora Walters, Veornica Hart.