
TRAMA
Fratello e sorella, insensibili alla morte della madre e ostili al padre, ricco imprenditore, vorrebbero partire e ricominciare altrove: la loro unica speranza è l’eredità materna.
RECENSIONI
Una coppia di fratelli, legati da una complicità morbosa, quasi in odor di incesto, ribelli nei confronti della ricca famiglia di imprenditori, diseredati dopo la morte della madre, pianificano freddamente la loro via d’uscita dalla provincia nella quale ristagnano. È il ritratto di due personaggi anaffettivi, il cui cinismo - tra furti di arredi sacri, lacrime finte al funerale materno, sguardo fisso alla quota d’eredità che gli verrà negata - è frutto di quello stesso ambiente che ne ha forgiato l’insensibilità. Un ambiente che è il primo oggetto dell’attenzione del regista che dipinge in modo convincente non solo il contesto familiare, ma anche la desolazione della provincia in cui questo è inglobato, un mondo in cui aleggia un’idea di valori antichi oramai dissoltasi, in cui la religione è mera ritualistica e i soldi una malattia e una fissazione. In questo microcosmo che ha perso ogni innocenza e che contempla solo il presente, i due non sembrano prendere mai in considerazione le possibili conseguenze dei loro atti e, manipolando altre persone che trascinano nel loro gioco perverso (e innescando un possibile triangolo che scatena gelosie), danno avvio, con gelida disinvoltura, a una spirale di morte.
Andrea Tagliaferri, già assistente di Matteo Garrone (che qui produce), dipinge con grande suggestione il paesaggio nel quale i personaggi sono immersi, regala squarci di bell’impatto visivo, fa un uso molto ponderato e atmosferico delle musiche, ma gira un film solo promettente, penalizzato, come risulta, da una scrittura schematica, tutta ripiegata su un’idea letteraria di maledettismo che si incarta nei fragilissimi dialoghi e nello sviluppo sfocato dell’intreccio.
