TRAMA
Un esperto artificiere di Boston è perseguitato da un ex-compagno dell’Ira evaso di prigione che, con ordigni esplosivi ingegnosi, mette in pericolo la vita dei suoi colleghi e parenti.
RECENSIONI
Sì, è la solita partita a scacchi, fino all’ultimo sangue, fra poliziotto e criminale vendicativo. Anche l’impianto è convenzionale e usurato, ma la pellicola di Hopkins va vista nell’ottica del film di genere che vive di piccole varianti e del gusto della ri-visione e revisione di figure archetipiche: le formule si ripetono, l’aspettativa alberga nella spettacolarità, nella capacità della messinscena di emozionare, nell’efficacia della tensione del duello. L’opera del regista ha il merito di scansare le maglie schematiche nella struttura del racconto edificando la propria ragion d’essere nel “cinema” vero e proprio, nell’effetto sortito figurativamente, immagine per immagine, approfittando di una sceneggiatura che, se non altro, infila una situazione di pericolo dietro l’altra. Hopkins sa come orchestrare la tensione…sui fili (da ricordare, almeno, la bellissima sequenza della bomba nel robot, rincorsa da un Jeff Bridges al ralenti) ed “esalta” l’arte del villain di turno di Tommy Lee Jones, inquadrando nel dettaglio (quasi al microscopio) circuiti e meccanismi ad orologeria (in tutti i sensi) delle sue invenzioni, per un “genio del male” che mancherà solo l’appuntamento con i fuochi d’artificio del 4 di Luglio. Ottima anche la suspense “artificiosa” che crea in casa di Suzy Amis, puntando il faro su tutti i possibili centri sensibili all’incidente domestico, mentre la gag sui “granchi” sarebbe piaciuta ad Hitchcock. Dato che la comunità d’origine di eroi e antieroi è l’Irlanda (presente a Boston con una tribù numerosa), nella colonna sonora si passa da Enya agli U2 (che scandiscono gli atti di terrorismo del folle). Bridges padre e figlio appartengono a due scuole/generazioni/stili di recitazione diversi, e si vede.