TRAMA
Ray Garrison, un soldato da poco ucciso sul campo, viene riportato in vita con capacità da supereroe da una società ipertecnologica. Con un esercito di nanotecnologie al posto del sangue, Ray diviene una forza inarrestabile in grado di guarire all’istante dalle ferite eventualmente riportate. Nel controllarne il corpo, la società ne manipola però anche la mente e i ricordi. Ray non sa più cosa sia reale o cosa no e il suo principale obiettivo è scoprirlo.
RECENSIONI
Ray Garrison, soldato veterano, entra nella stanza, si sbarazza abilmente degli scagnozzi, elimina il rapitore e salva eroicamente l’ostaggio. Ma uno psicopatico criminale connesso alla vicenda rapisce lui e sua moglie e, al ritmo di Psycho Killer dei Talking Heads, uccide prima lei, poi lui.
Il corpo di Garrison viene donato alla scienza e riportato in vita da nanotecnologie che lo rendono invincibile. La sua memoria viene azzerata, ma l’ascolto mirato del brano della sua tortura risveglia in lui il ricordo della sua tragica fine e del suo aguzzino a cui, prima di morire, aveva giurato vendetta. Forte del suo nuovo corpo cibernetico lo trova e lo elimina.
Ma non tutto è come sembra, e Garrison si scoprirà pedina di un gioco più grande, vittima di un creatore (Guy Pearce, in un geniale casting mutuato da Memento e che subisce qui un transfert di ruolo, da vittima a carnefice) che formatta e ripristina la sua memoria a suo piacimento, rimodella il volto del psycho killer che ha trucidato sua moglie, e lo usa come suo sicario personale.
È necessario addentrarsi nella trama fino a questo punto perché allo svelamento della struttura narrativa vale la pena di andare a rileggere la componente fotografica di quanto visto fino a quel momento, perché Bloodshot si divide cromaticamente in tre parti: la prima trabocca verde da tutte le parti e colora la situazione iniziale di apparente normalità; ne segue una seconda marcatamente blu, quando il corpo di Garrison diventa cibernetico, che sottolinea con colori freddi la condizione del protagonista diventato macchina e legato figurativamente al freddo della morte contrapposto al colore della vita; in fine una terza che deflagra nel rosso delle sequenze d’azione in cui il protagonista si anima del fuoco della vendetta.
(Sì, ancora una volta si paga il debito a Suspiria.)
Solo in un secondo momento apprendiamo che il verde della situazione iniziale delinea in realtà fin da subito l’estetica del ricordo, ed è proprio su questa, la meno immediata, che ha più senso soffermarsi. Alla luce della struttura si ha la conferma che l’illuminazione acida e falsa della parte iniziale e del ricordo - se non totalmente fasullo sicuramente contraffatto - siano un'estetica voluta e non accidentale; nello stesso senso contribuisce allo stesso effetto il taglio da spot pubblicitario edulcorato e fittizio della parentesi italiana che gioca nella stessa direzione.
Ecco quindi che la costruzione fotografica esageratamente complessa ed eccessivamente satura del ricordo, che in un primo momento si presenta come una colossale bruttura priva di senso oltre che di gusto, diventa parte integrante dell’artificio pianificato a regola d’arte per fare di Garrison una macchina letale inarrestabile programmata per uccidere.
Il ricordo - vero o finto che sia - è in Bloodshot vero proprio cardine motivazionale che genera un sentimento che anima il protagonista, un motore trainante che anima i personaggi di Dave Wilson, il regista, e che possiamo individuare come punto d’interesse nella sua, seppur esigua, filmografia. Il sentimento come motore trainate è infatti alla base anche di Il vantaggio di Sonnie, il cortometraggio d’animazione digitale di Dave Wilson che apre l’antologia di cortometraggi fantascientifici prodotta da Netflix Love, Death & Robots. Per Sonnie il sentimento, seppur sotto falso nome, era presente già nel titolo - lì si trattava della paura, il punto di forza, l’edge del titolo originale - in grado di sopravvivere alla carne e animare creature rettilomorfe che si scontrano in battaglie clandestine; un sentimento generato dal ricordo di uno stupro inciso sul volto sfregiato della protagonista in indelebili cicatrici.
E se già in Il vantaggio di Sonnie era già ben presente anche la divisione del colore nelle sequenze - in quel caso non tripartita ma solo bipartita in rosso e blu - erano altrettanto evidenti i limiti di stile di Dave Wilson. Il vantaggio di Sonnie, come Bloodshot, soffre e gode allo stesso tempo di una costruzione estetica da videogioco, o meglio, più nello specifico, da cutscene di videogioco - e basta dare una rapida occhiata alla sua filmografia per avere conferma delle sue origini dove figura come regista di trailer e cinematic per importantissimi videogiochi, da BioShock Infinite a The Division, da Mass Effect 2 a Star Wars: Il potere della Forza II - dove ogni gesto trasuda epica, estetizzato in ogni virgola, in un'alternanza continua di ralenti e improvvise accelerazioni. Un tipo di messa in scena che può reggere il tempo di un filmato d’intermezzo o di un trailer ma che protratto per quasi due ore diventa soffocante.