TRAMA
In una città in rapida crescita della Cina orientale arrivano migranti che sognano una vita migliore. Ma trovano solo piccole opportunità e scarse condizioni di vita che spingono tutti, anche le coppie, verso rapporti violenti e oppressivi. Xiao Min, Ling Ling e Lao Yeh sono alcuni personaggi di questa cronaca amara della Cina di oggi.
RECENSIONI
Diceva Hobsbawm che la crisi è epocale. Ma il capitalismo gode di ottima salute. Sta solo cambiando pelle; diventa di Stato sostituendosi a quello del libero mercato. Lo storico del Secolo breve sosteneva, già nel 2012, che bastava guardare la Cina per convincersene e per leggere il futuro. Sembra che l'uomo nuovo teorizzato da Mao (complice la sua politica intervenuta come uno schiacciasassi sulle sovrastrutture culturali) abbia trovato nell'attuale assetto economico cinese le condizioni per esprimersi compiutamente: masse di contadini che entrano nell'universo del lavoro salariato, subordinando tutti i propri affetti e interessi al compito di agire da perfetta macchina produttrice: laddove l'ideale ha fallito può invece l’illusione edonistica.
È esattamente quello che ci mostra Wang Bing in Bitter Money; la sua macchina da presa «segue – come racconta lo stesso regista - tre giovani che lasciano la loro città natale nello Yunnan per andare a lavorare per la prima volta in una delle città più frenetiche della costa orientale cinese». Qui si sistemano in un dormitorio-alveare: uno spazio subordinato alle logiche della produzione che a sua volta condiziona i vissuti individuali e sociali che si determinano al suo interno. Il contesto (ampliando il concetto all'intero assetto cittadino) li priva di un modello alternativo di vita (quello che a noi può apparire come il configurarsi di una distopia orwelliana per loro è normale stato delle cose) e questo comporta un'interiorizzazione delle logiche economiche: si è difronte a un capitalismo a dominante cognitiva. Questa è la dimostrazione di come il capitale ha realizzato il proprio dominio reale sottomettendo tutta la vita ai propri bisogni di valorizzazione. Come dichiarato del resto dal regista: « Il denaro non è mai stato così importante nella società cinese». Non è un caso che i personaggi di Bitter Money abbiano come unico orizzonte di discorso le cifre: età; stipendi; numeri di serie; quantità di merci; costi d'affitto. Anche le liti coniugali ruotano attorno a questo, tanto che una donna arriva a urlare al proprio marito: «Se vuoi cacciarmi, devi darmi dei soldi!».
Wang rifiuta sistemi rappresentativi precodificati, non assoggetta i propri personaggi a schemi preliminarmente predisposti; ciò che vuole è restituire un’immagine che non sia metafora, ma che mostri le cose in sé. E la forza del suo film, e più in generale del suo cinema, infatti è proprio quella di limitarsi a mostrare (e quindi filmare, il che comporta l'esserci). La m.d.p. è stretta in un sistema di relazioni. Il regista è lì, affianco alle donne e agli uomini che ha deciso di filmare, li segue, cercando di non condizionarli ma lasciandosi condizionare, mostrandosi sensibile agli stimoli che possono arrivare dalle persone cui si trova a condividere quello spazio e quel tempo comuni. Una prossimità che non cerca l'identificazione ma la partecipazione. Per Wang è necessario non occultare la propria presenza (del resto ha ancora senso inverare la bugiarda idea di oggettività documentale?), ma al contrario dimostrarsi parte in causa rispetto a quanto rappresentato (a un certo punto, infatti, un uomo rivolgendosi alla macchina dice: «È ora di dormire, filmerai domani») perché soltanto così può riuscire a mettersi in relazione con gli altri, non nascondendosi.
