Recensione, Thriller

BIRTH – IO SONO SEAN

Titolo OriginaleBirth
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2004
Genere
Durata100'
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Costumi

TRAMA

Sono passati dieci anni da quando Anna ha perduto suo marito Sean. Mentre si prepara al nuovo matrimonio con Joseph si presenta alla sua porta un bambino di dieci anni che afferma di essere il defunto Sean e che la esorta a rinunciare alle nuove nozze.

RECENSIONI

Dov’è finito BIRTH di Jonathan Glazer?
Nella prima ora era presente, vivace e pulsante, coinvolgente addirittura: dall’innevato piano sequenza che culmina nell’infarto (De Palma è sulla punta della lingua) fino all’irreprensibile dipinto di quotidianità (scene da un –venturo?- matrimonio) sfigurato dall’irruzione dell’absurdum. Un bambino qualsiasi, seduto nell’atrio di un palazzone, sconvolge equilibri famigliari seminando il fiore della reincarnazione (chi/che cosa è?), lanciando inquietanti quesiti che effettivamente non hanno risposta- la mancata spiegazione è un innegabile tocco di classe. Una donna qualsiasi, una tragedia impolverata alle spalle, tenta di rifarsi una vita: ma è quasi tentata di credere alla leggenda di Orfeo ed Euridice, viaggio nel mondo dei morti e ritorno (e ritorno...), badando per nulla all’infanzia della forma. La liquida disperazione della vasca da bagno, in barba alla banale diceria, non trasuda scandalo ma tormento autentico, vuoto interiore a macchia d’olio afflitto da necessario riempimento -  la scena fa il paio con un luccichio di dirompente intensità: lo sguardo fisso della Kidman –glaciale ed attonita: quindi memorabile- alla rappresentazione teatrale, in un percorso che porta dal magnetismo alla commozione in metafora del graduale scioglimento della protagonista.
E poi? La mezzora conclusiva diventa banale, telefonata, oppure spudoratamente comunicativa (la rivelazione dell’adulterio) e senza mezzi termini brutta (il montaggio alternato: matrimonio/asilo). In una risoluzione di scandalosa maniera l’opera tutta è gettata bassamente alle ortiche, con dedizione quasi ossessiva e spoglia da ogni dubbio cinematografico, sublimandola il calare del sabbioso sipario. Glazer suicida il suo film compiendo il delitto (im)perfetto.
Vi abbiamo fornito ogni generalità, chiunque avesse informazioni si rivolga al numero verde (del cinema). Chi l’ha visto?

Nicole Kidman continua a rischiare, alternando ruoli in megaproduzioni destinate al successo (l'ultima in ordine di tempo lo sciocchino "La donna perfetta") a progetti meno sicuri, in cui è la sua adesione a garantire l'attenzione dei media, la distribuzione e il riscontro del pubblico. Succede con "Birth", del poco conosciuto Jonathan Glazer (regista dell'apprezzato "Sexy Beast"), che riesce a riunire un cast sontuoso (tra gli altri, Lauren Bacall, Danny Houston, Anne Heche) per raccontare una complessa storia di ossessione. La giovane Anna, vedova da dieci anni, è in procinto di risposarsi, quando le bussa alla porta di casa un bambino che afferma di essere Sean, l'ex marito defunto. La progressione narrativa, pur nel disequilibrio con cui è costruito il racconto (i genitori del ragazzo sono poco più che comparse mentre potrebbero avere un ruolo decisivo), riesce a rendere credibili gli sviluppi e le reazioni dei personaggi, molto attenta ai risvolti psicologici e ad evitare fasulle scene ad effetto. Almeno fino a quando non si esagera (Danny Houston che pieno di rabbia fa pu-pu sul culetto del bambino suscita una certa ilarità) e i nodi vengono al pettine attraverso una soluzione, per fortuna a mezze tinte, che suona però appiccicata, e comunque non regge. Sembra infatti un contentino per gli spettatori il tentativo di razionalizzare una vicenda che ha il suo fascino maggiore proprio nell'assenza di ragionevolezza. Così come non convince la sequenza finale in riva al mare, più accattivante che esplicativa. Demeriti e ambiguità a parte, il film ha un piglio originale ed intimista che non lo fa rientrare in un genere specifico; spazia dal fantastico al dramma e non disdegna una tensione da thriller. Fotografia e scenografia riflettono con cura lo stato d'animo crepuscolare dei personaggi, con interni ovattati e ricoperti da soffocanti carte da parati ed esterni invernali immersi nel plumbeo. Il film conferma inoltre le doti interpretative di Nicole Kidman, vera mattatrice della pellicola, sempre misurata e mai strabordante, capace di reggere virtuosistici primi piani (il piano sequenza a teatro) e perfetto specchio dell'interiorità del difficile personaggio. Inutili le polemiche, tutte a beneficio della promozione, sulle scandalose (in realtà innocue e quanto mai caste) scene tra la Kidman e il bambino, il bravo e in ascesa Cameron Bright.