Commedia, Drammatico, Recensione

BILLY ELLIOT

Titolo OriginaleBilly ELLIOT
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2000
Durata110'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Inghilterra, 1984, ai tempi di Margaret Thatcher. Billy è un ragazzo di undici anni che scopre di avere un grande desiderio: diventare un ballerino. Il padre e il fratello maggiore, entrambi minatori inaspriti dai continui disagi dovuti alle difficili condizioni di vita, sognano per il piccolo Billy un futuro da duro e lo iscrivono al corso di boxe. Ma il ragazzino inizia invece a frequentare di nascosto il corso di danza della signora Wilkinson.

RECENSIONI

Non sarebbe male un film in cui i personaggi che si incrociano escono dagli stereotipi culturali e di costume ormai acquisiti come dati di fatto. Chissà se mai vedremo un italiano esperto di informatica, uno spagnolo che va letto tutte le sere alle otto, un polinesiano mafioso, un irlandese astemio o un francese simpatico.
Premessa polemica per un film che, nonostante una caratterizzazione di maniera dei soliti inglesi ruvidi ma dal cuore d'oro e una bella fotografia formato esportazione, riesce nel non facile intento di lasciarsi seguire con passione, se solo si ha la capacità di lasciarsi andare alle emozioni e di chiudere gli occhi sulle innumerevoli sfumature della realtà. La presa di coscienza del giovane e talentuoso Billy è raccontata con freschezza, e l'energia della narrazione si rivela presto contagiosa. Billy incarna l'ideale di qualsiasi adolescente: la piena consapevolezza delle proprie capacità e il contatto con la sua natura più intima. "Diventa quello che sei" è lo slogan attribuito alla "x-generation" negli anni novanta e Billy lo rappresenta in pieno. Ed è bello vederlo raggiungere il suo obiettivo con naturalezza e ostinazione, affrontando tutte le difficoltà della sua situazione familiare non agiata, in cui problemi concreti di sopravvivenza rendono impensabile poter avere dei sogni. Come è bello credere che dei bambini parlino della vita e di ciò che li circonda in modo così comunicativo e lucido, senza ombre, filtri, dubbi, contraddizioni. Bello da vedere ma difficile da credere, anche se il film ha la capacità di renderlo, se non vero, comunque credibile.
I momenti drammatici e quelli brillanti sono calibrati con furbizia, ben dosando i passaggi obbligati di un percorso di formazione, quindi nascita del desiderio, scoperta del proprio talento, rifiuto della famiglia, dimostrazione delle proprie capacità, esame esterno e riconoscimeto finale. Tutto da copione, ma ben raccontato e con un protagonista, Jamie Bell, davvero bravo, espressivo e talentuoso come il personaggio che interpreta. Brava anche Julie Walters che interpreta il personaggio più interessante del film, la maestra di ballo della piccola scuola del paese. Interessante perché sfumato, in grado di essere materna e amica, alternando la durezza alla complicità.

"Cosmic dancer" (ballerino cosmico) e "Children of the revolution" (bambini della rivoluzione) dei T.Rex, fra le altre, sottolineano la voglia incontenibile e contagiosa di danzare di Billy Elliot, l'ennesimo eroe proletario anticonformista e coraggioso della commedia inglese degli ultimi anni che, trovato un "filone" (genere) d'oro, non lo abbandona più. E' emblematico, oltretutto, che altre pellicole, come Full Monty e Grazie, Signora Thatcher!, siano ambientate negli anni ottanta dello sciopero dei minatori contro il governo della "Lady di ferro". Billy, sorta di Grisù del ballo, è "elettricità" che attraversa indenne e indifferente le fazioni in lotta (proletari contro borghesi), un "diverso", una voce di cambiamento fra tanto odio e violenza, prerogative dello stereotipo del maschio (donnaiolo, insensibile, ubriacone, lottatore). Non si fa condizionare dai pregiudizi ed è tenace (una forza maturata con il dolore per la perdita della madre) nel perseguire e nel voler convertire il proprio burbero padre al proprio sogno. Il film dell'esordiente Daldry (direttore artistico del Royal Court Theatre) dona i brani più commoventi nel momento in cui, a seguito della più ardua "audizione" di tutta la sua vita (davanti al padre) il rapporto con il genitore si distende, da problematico e arroccato sulle proprie posizioni (un messaggio politico?), diventa "catartico". La sceneggiatura di Lee Hall è abile nell'accumulare tensione, frustrazione e rabbia (culminanti nell'indimenticabile "tip tap" sui tetti) per poi allentarle nella rappacificazione, fra esplosioni affettuose e ilari (l'apprensione dei familiari per la lettera, la nonna solo apparentemente "assente"). Nonostante l'evidente utilizzo di meccanismi ricattatori (le meste note del piano che presagiscono una scena patetica) è impossibile non finire col commuoversi, in empatia insieme gioiosa e triste (il distacco) con Billy (l'esordiente Bell è fenomenale). Gli ultimi ciak, però, sono anche per chi non gliel'ha fatta: i minatori e "Miss" (l'ottima Walters, che rilegge la propria vita alla luce del "Lago dei cigni").