TRAMA
Michele, insegnante di matematica alla scuola “Marylin Monroe”, soffre di solitudine e, inconsciamente, vi pone rimedio impicciandosi della vita sentimentale altrui.
RECENSIONI
Uno dei risultati più alti nella filmografia di Moretti, ancora nei panni dell’alter ego Michele Apicella, ancora pervaso da un’insostenibile, paradossale male di vivere, ancora feroce fustigatore sociale: qui passa in rassegna, con il consueto, amaro sarcasmo ai limiti del surreale, l’istituzione Scuola (la “Marylin Monroe” è ricolma di totem della cultura di massa, fra Jerry Lewis e Dean Martin, Dino Zoff e Mick Jagger), gli insegnanti (tipi frustrati ed egocentrici che finiscono col parlare agli alunni solo di sé) e l’insegnamento (improduttivo, informativo e non formativo), i rapporti di coppia sempre più fragili. Il suo dramma umano, insolitamente coerente ed omogeneo nonostante l’assemblaggio di scenette/gag (merito di Sandro Petraglia alla sceneggiatura), è incentrato sulla solitudine masochista, sulla figura di un uomo (arricchita di autobiografismo) cinico e sardonico alla Woody Allen, che teme a tal punto la vita nei suoi calcoli probabilistici (da buon insegnante di matematica qual è) da rifuggire i rapporti e la felicità, rifugiandosi in passive manie schizofreniche e voyeuristiche (La Finestra sul Cortile) che gli permettono di vivere quella altrui, nascondendosi dietro ai feticismi (le scarpe, soprattutto) e ad un manicheismo intransigente in nome dell’Amore per sempre. Michele è vigliacco come pochi quando deve decidere se passare o meno da osservatore/giudice degli altri a comune osservato e giudicato, quando rinuncia all’amore per non mettersi in gioco, per non soffrire (splendida la parodia della gelosia). Spassosa e al contempo dolorosa, l’opera lascia con un sentire ambiguo, indeciso fra tenerezza e pateticità, perdono e condanna: aperto è anche il finale dell’intreccio “giallo” (un mea-culpa o un suicidio?). Moretti sa come stuzzicare e divertire con fisime e manie esasperate (quanto comuni), si prende e ci prende in giro ma lascia davvero l’amaro in bocca, riconducendo tutto il nostro vivere a patologia, a incomunicabilità, a spreco di risorse e beatitudine. Dando la colpa solo a noi stessi. Indimenticabili la scena in cui affoga la mancanza d’affetto e il nervosismo in un enorme barattolo di Nutella e la battuta sulla torta “Sacher Torte” (“Non ha mai assaggiato la Sacher Torte? Vabbè, continuiamo cosi… Facciamoci del male.”), che darà il nome alla sua casa di produzione. Immancabile partita a calcio e intuibile il perché non ha amato Henry Pioggia di Sangue: è questo, secondo lui, il vero film su di un serial killer, per quanto privo di violenza fisica.