TRAMA
In una tranquilla città di provincia, una comunità di Testimoni di Geova è attaccata da un gruppo estremista. In mezzo a questo scontro, il mondo familiare di Yana, la moglie del leader della comunità, lentamente si sgretola. Il suo scontento interiore cresce, mentre lotta per controllare i propri desideri.
RECENSIONI
In Beginning, l'inizio è una continua fase di transizione, una dolorosa ricerca senza meta e senza direzione, un lento tentativo di smarcarsi da una realtà soffocante eppure inafferrabile, perché ingannevole, non (più) misurabile, perfino non (più) visibile; un inizio inoltre, presuppone sempre una rottura, e quindi una qualsiasi forma di violenza, capace di scardinare il castello di carte delle proprie certezze e di farci ripiombare nell'abisso. Nel suo essere un film su(lla ricerca di) un nuovo inizio, Beginning è allora anche e soprattutto un film sulla violenza, interna e tra differenti comunità religiose, fisica e psicologica, di genere e familiare. Questa violenza, che infine pervade o minaccia ogni immagine, che spesso bussa alle porte di un fuori campo che è al tempo stesso un fuori quadro e un'intima condizione psicologica, è una miccia sempre accesa, che la giovane regista georgiana Dea Kulumbegashvili osserva non tanto nella sua evidenza e nella messa in scena delle sue possibili conseguenze sull'individuo e sulla comunità, quanto piuttosto nella sua condizione di sostrato perenne e irremovibile, sintomo di un malessere quotidiano e secolare.
Per questo esordio nientemeno che folgorante, l'autrice sceglie di narrare una vicenda ambientata in un microcosmo piccolissimo e impermeabile (una cittadina georgiana ai piedi del Caucaso, sul confine con l'Azerbaigian) dove la violenza di genere si fonde con le maglie soffocanti dei ruoli rigidi e precostituiti imposti dalla tradizione. In questo contesto, Dea Kulumbegashvili lavora sugli spazi e sul tempo con la sicurezza di un maestro, filmando il reale con la forza universale del mito e osando perfino un vertiginoso finale fantastico, in cui un letterale ritorno alla polvere riconsegna il racconto alla dimensione religiosa della parabola. È vero, come è già stato notato da più parti, che il suo è un cinema che guarda, tra le altre cose, alla fissità di Michael Haneke o di Chantal Akerman (ma anche a Carlos Reygadas, che non a caso figura tra i produttori esecutivi), eppure qui non c'è nessuna superficiale appropriazione di stile e quindi nessuna caduta nella gratuita provocazione o nel racconto a tesi (Michel Franco, per fortuna, è lontanissimo). Lo sguardo, in Beginning, è sempre onesto e apertissimo, straordinariamente coerente con il racconto, freddo ma non calcolatore, rigoroso ma non eccessivamente misurato, distante quanto basta, ma allo stesso tempo coinvolto nei turbamenti della protagonista. L'immagine non sovrasta mai il racconto, la sua costruzione predilige sempre il senso (e soprattutto il tempo) rispetto alla vuota contemplazione estetica, e la cifra stilistica dominante del piano sequenza trova una sua precisa ragion d'essere proprio nella volontà di osservare, a lungo e sinceramente, gli scarti e le minuscole variazioni nel sentire dei soggetti, ma anche nella sua capacità di dare una dimensione a quella violenza che, prima di divampare, risiede sempre qualche centimetro fuori dai bordi dell'inquadratura (l'attentato iniziale, lo stupro, la preparazione del frullato letale).
In tutto questo, il tessuto minimalista del film si dipana attraverso ripetizioni ed elementi ricorrenti, costruendo limpide rime interne che dialogano e si scontrano, finendo per architettare una narrazione dalle coordinate tanto precise quanto, per la protagonista, soffocanti. Emblematiche in questo senso, sono le due sequenze in cui la violenza irrompe maggiormente nell'inquadratura: le molotov dell'atto terroristico iniziale invadono lo spazio della comunità in modo brutale e improvviso, proprio come brutale e improvviso è l'assalto sessuale operato dal detective nei confronti di Yana, gesto che si configura come una terrificante invasione dello spazio privato (e ancora, ad accentuare la relazione tra le due situazioni e tra gli ambienti: la prima violenza è dominata dal fuoco, la seconda dall'acqua). Su ogni immagine poi aleggia quel vago e costante sentimento di morte - che troverà naturalmente dimora nel finale, in cui, a proposito di assonanze interne, riecheggia beffarda e capovolta la storia di Abramo e Isacco raccontata in apertura - che Dea Kulumbegashvili rende in modo straordinario attraverso la ripetizione costante e progressivamente più marcata, dell'elemento del sonno (che peraltro anticipa anche l'apparizione della figura del detective, presenza maligna allo stesso tempo reale e fantasmatica, che attacca Yana prima psicologicamente e poi fisicamente); il sonno e la morte - e quindi la fine - dunque, una correlazione esplicitata proprio dalla protagonista nel lungo intermezzo dormiente e mortifero che divide l'opera esattamente a metà, in cui è il suono dell'ambiente a determinare l'apparente stato del personaggio e in cui lo "scherzo" della madre è tradito da una panoramica impossibile, nella quale il figlio si ritrova, nello stesso momento, in due spazi differenti dell'inquadratura (osservatore distante e partecipante, anch'egli, manco a dirlo, dormiente).
L'inizio e la fine, la veglia e il sonno, la violenza e la morte, l'Io e il Noi, l'individuo e la comunità, la libertà e le regole, la fede e il sacrificio, la madre e l'indipendenza, la moglie e la famiglia, il dramma e la silenziosa richiesta d'aiuto, l'inferno e il paradiso, il fuoco e l'acqua: c'è un mondo infinito in mezzo a questi elementi, e Beginning sta proprio lì da qualche parte, pronto a cogliere con cura e incredibile respiro, gli sguardi, il dolore invisibile, l'oppressione, il vuoto scorrere del tempo e della vita.