Recensione, Thriller

BEAUTIFUL SUNDAY

Titolo OriginaleByutipul seondei
NazioneCorea del Sud
Anno Produzione2007
Genere
Durata117'

TRAMA

Per pagare le costosissime cure ospedaliere della moglie in coma, il detective Kang è costretto a trafficare con la malavita. Durante un sequestro di stupefacenti su una nave, 2 chili di droga si trasformano magicamente in 200 grammi: il resto è trafugato dal detective, d’accordo con un’altra gang. Si scatena immediatamente la caccia alla talpa e al recupero della droga confiscata: per Kang sono guai.

RECENSIONI

Il nero è un colore dell’anima. Ogni noir che si rispetti è un faccia a faccia con le ombre del passato, un affondo nell’oscurità della psiche, un tuffo nell’abisso umano. Jin Kwang-kyo, al suo esordio cinematografico, interpreta alla lettera questa regola aurea e imbastisce un racconto che si attorciglia su se stesso fino al punto di rivoltarsi contro se stesso. C’è infatti più di un pizzico di esagerazione nell’esordio di questo talentuoso regista e sceneggiatore, un eccesso di artificiosità che congestiona la progressione drammatica di “Beautiful Sunday”, rendendola innegabilmente faticosa e cervellotica. Considerando che siamo di fronte a un’opera prima, si tratta di un peccato veniale, dal momento che la contorsione narrativa è ampiamente riscattata da una qualità visiva di altissima classe. Alla disperata parabola del detective Kang (il bel Park Yong- woo, dimagrito di ben 8 kg. per rendere più sofferta la sua interpretazione) l’esordiente Jin regala un palcoscenico di squisita fattura: la struggente determinazione nel tenere in vita la moglie, contro il parere dei medici e al di là delle proprie facoltà economiche (donde la collusione con la mala), si squaderna davanti agli occhi dello spettatore con cristallina eleganza. Il detective Kang sprofonda in un baratro di ossessioni (il perseverante amore per la moglie-vegetale), ricatti (quelli del boss a cui ha trafugato la droga) e rimorsi (per non essere riuscito a scoprire chi ha aggredito la moglie riducendola in quello stato) e allora la regia accompagna la sua discesa agli inferi precipitando insieme a lui nella caduta libera: montaggio frenetico (si veda il folgorante incipit), inseguimenti a rotta di collo (con una steadycam spericolatissima) e movimenti di macchina semplicemente sontuosi (gru imponenti, dolly a piombo e vertiginosi accerchiamenti dei personaggi). Cinema da leccarsi i baffi. La fotografia al petrolio di Lee Ki-won impasta ancora di più le immagini con un’oscurità vischiosa e inesorabile, immergendo le inquadrature in un’atmosfera di inquietante enigmaticità. Le somiglianze tra i personaggi proliferano, le analogie si moltiplicano, l’ambiguità imperversa in questa Pusan nera come la pece: tutto è pronto per la confusione/rivelazione finale, un autentico colpo di pistola allo spettatore e alle sue congetture. Segno che il noir, nella sua tentazione al pessimismo, non risparmia nessuno, neanche se stesso. Decisamente meno interessante invece il quesito morale del film: “può l’amore cancellare i peccati?”. A tale nodo etico per fortuna Jin non risponde, o meglio lo fa spappolando la domanda sotto il peso del nichilismo: una negazione che, sposandosi col disperato romanticismo dell’epilogo, proietta “Beautiful Sunday” lontano da ogni riparazione consolatoria, nel cuore di tenebra dell’animo umano. Il nero è un colore dell’anima.