Drammatico

BARRIERA DI CARNE

Titolo OriginaleNikutai no mon
NazioneGiappone
Anno Produzione1964
Durata90’

TRAMA

Nella Tokyo del dopoguerra, le condizioni sono disumane: ragazzine dedite alla prostituzione e uomini che rubano. La diciassettenne Maya è la nuova arrivata in un gruppo di severe prostitute che torturano chi offre il proprio corpo gratuitamente. Ma Maya s’innamora di un prestante ex-soldato.

RECENSIONI

L’immenso (tanto quanto ancora sconosciuto) Seijun Suzuki gira con lo pseudonimo di Kiyonori Suzuki e stupisce per l’audacia di un linguaggio visivo che, non abbandonando mai del tutto la drammaturgia tradizionale, riesce a restituire suggestioni plurime, trovando una sinergia unica fra straniamento godardiano (sguardi in macchina, sovrimpressioni, luci spot da cabaret, composizioni pop, teatralità dei gesti), espressività dei colori alla Powell e Pressburger (ricostruzioni in studio, prostitute identificate dalle tinte dei vestiti: il rosso della crudeltà, il giallo della stupidità, il verde della purezza), sfarzi scenografici, passaggi danzanti e “musicali” alla Vincente Minnelli (ma più torbido, alla Douglas Sirk), passionalità romantica e d’amore folle del cinema gotico, gusto per le perversioni estreme, per la dissacrazione e l’erotismo di un Jesus Franco (le torture sensuali-masochiste, il gore di un bue scuoiato in diretta, l’acida malizia con cui è mostrato il prete cattolico di colore con le brache calate per la prostituta). Suzuki riusciva ad amalgamare il tutto in uno stile misuratamente debordante. Parte, sui titoli di testa, con “quadri espressionisti” di donne lascive ed orribili, per poi passare a ralenti quasi impercettibili, con voce fuori campo da saggio politico che denuncia le condizioni umane bestiali allaPorci, Geishe e Marinai, sotto la bandiera americana simbolo di una democrazia sospetta: il resto dell’opera vira qualsiasi traccia di commedia o atto brechtiano in tragedia, mélo, commiserazione con sguardo moralistico (non puritano) su queste bambine immature intrappolate in un gioco più grande di loro, dotate di regole ferree, assurde e crudeli, allontanate dal vero segreto della carne (costano come la carne al mercato), un Amore che arrivano a denigrare, pur invidiandolo con ferocia disumana, per perdersi nei mulinelli del Male. C’è una riflessione simbolica anche sull’ex – soldato, delinquente insensibile, risvegliato eroticamente (ed ironicamente) solo dalla violenza (il montaggio delle attrazioni con cannonate belliche). Fondamentale il commento sonoro ricercato, contrappunto imprescindibile di molte sequenze: da antologia quella con il tamburo angosciante. Solo chi cade può risorgere, dice Suzuki al Giappone. Conosciuto anche come La Porta del Corpo e La Porta della Carne.