TRAMA
È ancora Natale, Willie è ancora un cinico ubriacone. Quando viene coinvolto in un colpo dovrà vedersela con qualcosa peggiore dello spirito natalizio: sua madre.
RECENSIONI
Tredici anni dopo l'uscita di Babbo Bastardo e il suo graduale statuto di cult popolare, Babbo Bastardo 2 cambia la squadra al timone: innanzitutto alla regia non c'è più Terry Zwigoff, con la sua poetica del freak americano molto sottovalutata, ma arriva il carneade Mark Waters, autore di Mean Girls. Alla sceneggiatura Glen Ficarra e John Requa, inventori del personaggio, vengono sostituiti da Shauna Cross e Johnny Rosenthal. Infine i produttori Joel ed Ethan Coen, che nel 2003 pescarono la carta vincente - con incasso di 76 milioni di dollari da un costo di 23 milioni - sono qui soppiantati dalla Miramax che costruisce direttamente una proposta commerciale. Viste le premesse suona naturale trovarsi davanti a due film diversi, dalla scommessa indie Bad Santa alla sua riproposizione per la massa. Il secondo capitolo chiama i personaggi a rifare se stessi (Willie, il nano Marcus, il grasso Thurman), con evidente strizzata d'occhio ai fan, aggiungendo un'unica variazione decisiva: la figura della madre Sunny interpretata da una grandissima Kathy Bates. Essa introduce nel canovaccio un ulteriore livello di anti-buonismo, incardinato sulla figura centrale del cinema pop americano, la Mamma. Inizialmente regista e sceneggiatori avevano pensato di inserire anche il padre, ma poi hanno preferito lasciare a lei la scena puntando sul rapporto - potenzialmente ancora più 'scorretto' - tra il genitore donna e il figlio maschio. Sunny finge un intreccio basato sul rapporto madre-figlio (organizzano una rapina insieme), che dietro la superficie nasconde buoni sentimenti e lascia sospettare il recupero della loro relazione: niente di tutto ciò, anzi Willie farà la figura dell'ingenuo, perché il movente della donna è sempre venale e mai sentimentale. La madre è dunque un'estremizzazione del figlio sia nelle caratteristiche che nel rapporto col mondo, per esempio non sviluppa alcuna empatia con Thurman: è più volgare, cinica e criminale, e vive nella fisicità matura della Bates che offre una prova perfino crudele nei confronti di sé, col corpo tatuato a evocare una gioventù selvaggia e insieme la parrucca a sottolineare crudamente il tempo che passa. È l'idea principale del film, che dopo aver offerto una falsa pista gradualmente degenera fino a sfociare nel finale pulp.
Il resto è un heist movie che segue la realizzazione del colpo, evidente riempitivo inserito soprattutto per confermare le stimmate del primo capitolo: la volgarità esplicita, la sessuomania, la scorrettezza contro le minoranze (al solito i 'diversamente alti' in primis). Non particolarmente incisivi gli innesti di contorno, ovvero Christina Hendricks (Diane, stereotipo della timorata ninfomane) e Ryan Hansen (Regent, il personaggio più evanescente), così come la sostanza della storia che, banalmente, segnala l'ipocrisia della beneficenza corrotta come peggiore dei pessimi protagonisti. Willie è il solito bastardo, ma in fondo ha un cuore: l'anti-spirito natalizio, il 'cattivismo' oltranzista di facciata viene smentito dai fatti, racchiusi nel rapporto tra Willie e Thurman Merman, qui puntualizzato dall'obeso che canta Silent Night e la canaglia si commuove. È pur sempre Natale. L'operazione eseguita con Babbo Bastardo 2, e il giudizio su di essa, tira in ballo il concetto stesso di sequel e l'idea che ne abbiamo: se questo deve essere un'evoluzione, una progressione rispetto all'originale allora è un indubbio fallimento; se è lecito rifare il prototipo con variazione sul tema, confezionando un remake mascherato in regalo al pubblico di riferimento, può certamente dichiararsi riuscito.