TRAMA
Ogni anno, uno scapestrato ubriacone indossa le purpuree vesti di un Babbo Natale sporco e cattivo in un megastore giusto per svaligiarlo la vigilia di Natale. Al suo fianco un nano, pardon, uno gnomo, pardon, un piccolo uomo, un taglia piccola (ha ragione il compianto Ritter: che problema il politically correct!). Un ragazzino soprappeso si frapporrà tra il burbero malefico con le renne parcheggiate in officina e l’adorata bottiglia di vodka liscia.
RECENSIONI
Zwigoff aggiunge due o tre preziosi tasselli al suo campionario di reietti dell’american way of life, iniziato a tratteggiare qualche anno fa con il notevole e sottovalutato Ghost World. Il Bad Santa del titolo originale, molto più icastico e sferzante della fastidiosa e liberissima traduzione italiana, è il non plus ultra del loser, tipologia umana che nel cinema americano è apparsa col tramonto dei generi e col crepuscolo degli idoli e che oggi sembra costellare le galassie parallele del cinema indipendente non ruffiano, lontano tanto dal “glamourama” hollywoodiano, quanto dal “vecchio” giovanilismo “démodaiolo” del Sundence: i campioni della nuova onda sono, oltre al succitato Zwigoff, certi Coen, Wes e P.T. Anderson, Solondz e Payne.
Il cinico, incontinente, irritante, nauseante, volgare “cattivo papà natale” è forse troppo programmaticamente cinico, incontinente, irritante, nauseante, volgare: se gli sceneggiatori, una volta giocato d’accumulo, avessero lavorato di cesello ottundendo gli “angoli” (BadSanta è troppo “spigoloso” per essere “vero”) o motivando la genesi del carattere del personaggio, al fine di rendere poi più credibile la redenzione finale, sarebbe stato un piccolo capolavoro di perfidia addomesticata e di “ritorno alla vita”. Nonostante questo, si ammira la capacità del regista di decostruire il non senso o il senso smarrito della liturgia natalizia, festività che oramai si celebra più nei saloni dei negozi di abbigliamento che davanti al presepe, che è più negli/degli oggetti posti sugli scaffali che nei soggetti che comprano, comprano, comprano.
L’antieroe interpretato da uno strepitoso Thornton distrugge i miti del consumo necessario, si fa beffe della pelosa carità a tempo determinato, sodomizza donnone felliniane dietro le quinte di uno spettacolo fasullo, vomita sul selciato la sua rabbia e manda a puttane il proprio fegato annegandolo in litri e litri di alcol. Il suo compagno, poi, subisce una metamorfosi “ferina” degna delle mutazioni mostruose dei freaks browninghiani: da “altro/amabile” degno della nostra comprensione ad “altro/nemesi” uscito dai nostri incubi più politicamente scorretti. In colonna sonora si fa sentire la longa manus dei Coen (autori del soggetto) nell’uso ironico ed irenico del repertorio classico: dal Tchaikovkij dello Schiaccianoci (riferimento obbligato) a Rossini, da Bizet al Verdi del coro trovatoresco Chi dei gitani i giorni abbella (in inglese!).
Una commedia a tratti irresistibile, irriverente ma non eversiva, con qualche clin d’oeil di troppo ma che alla fine è più fiele che miele. Dunque, un giusto antidoto al Natale.
