TRAMA
Fiona e Grant, sposi da più di quarant’anni, vivono un’esistenza serena, Ma l’Alzheimer di Fiona progredisce e la decisione del ricovero in un istituto specializzato diventa inevitabile.
RECENSIONI
L'attrice Sarah Polley (per tutti: Exotica di Egoyan, che qui produce) debutta alla regia di un lungometraggio (ha altre esperienze in corti) che arriva in Italia sulla scorta del plauso pressoché unanime della critica estera. Narrando della difficile gestione dei sentimenti da parte di un'pia che è giunta alle soglie della vecchiaia con sofferta serenità (la crisi c'è stata anni prima ed è stata brillantemente superata) e addentrandosi nel rapporto tra i due protagonisti, l'occhio della mdp disegna i caratteri di ciascuno quasi per contrasto, facendo sponda sull'una per l'altro e viceversa. Quello che si apprezza è il garbo e la delicatezza con i quali la regista affronta il tema centrale della memoria e della patologia: lontana da facili soluzioni pietistiche o lacrimevoli, la Polley riesce a rendere, con grande sobrietà, la complessità delle questioni in gioco, lo spinoso intrico dei sentimenti e gli effetti di una malattia (l'Alzheimer) che fa tabula rasa dei ricordi ('Passo il tempo a cercare qualcosa che è perfettamente logico ma che ho dimenticato cos'è'). Nemmeno per un attimo il rigoroso registro scelto viene smentito, il lavoro di scrittura e regia in questo senso è evidentemente determinato e sostanzialmente riuscito: la Polley pone la sua opera lontano dal melodramma, pervenendo ad un'algida analisi dei sentimenti che ricorda certi Allen autunnali e le opere della Coixet (per la quale la regista ha lavorato).
Due livelli temporali si intrecciano (la traccia narrativa dell'incontro tra Grant e Marian è posteriore alle vicende che conducono Fiona all'istituto e si ricongiunge al resto verso il finale) e se le premesse sono quelle di un Eternal sunshine al contrario (lì il deliberato cancellarsi dei ricordi amorosi, qui uno strenuo tentativo di trattenerli mentre scivolano ineluttabilmente via)[1], le conseguenze sono egualmente complicate e struggenti (il momento del rincontro, dopo il mese di separazione, agghiaccia), l'agonia di questo amore, che si staglia in paesaggi naturali ben definiti e rigorosamente 'atmosferici' avendo a tratti certe introspezioni bergmaniane. Mentre il film sembra imperniarsi soprattutto sul dramma della separazione così come viene vissuto dal marito (il distacco dall'amata, il tentativo di dominare non solo i sentimenti ma anche i sensi di colpa), serpeggia il sospetto che Fiona lo stia volontariamente allontanando fin quando è ancora lucida, e consentirgli di superare il trauma, concedendogli di provare a vivere ancora (l'inquadratura della protagonista che guarda dalla finestra Grant che parla con l'infermiera sembra sottintendere una consapevolezza, da parte della donna, del suo ruolo e delle conseguenze del suo comportamento e il suo intimo intento di dare una dolce morte al rapporto quarantennale), un suggerimento che cogliamo tra le righe e che dona un bel chiaroscuro allo svolgersi della narrazione (la donna dice addio al marito fin quando è consapevole di sé?).
Non tutto funziona: la regia è solo onesta, il riferimento metaforico all'attualità (la Christie che commenta le immagini dall'Iraq affermando che gli USA sembrano aver 'dimenticato' il Vietnam) è a dir poco appiccicaticcio, certe soluzioni (un esempio: il glow delle scene ambientate nell'istituto, sottolineato anche diegeticamente dall'insistenza della responsabile che rimarca la luminosità del contesto, quasi a rivendicarne il carattere paradisiaco) un po' ingenue ma la crudeltà del destino al lavoro è disegnata senza sconti e anche il (tutto sommato) sereno finale non suona affatto come una resa svenevole, ma come una chiusa coerente e rispettosa dell'articolata messe degli aspetti sviscerati nel corso dell'opera.
Un finale plauso agli attori: la Dukakis è una bella riscoperta, la coppia Christie-Pinsent superlativa.