TRAMA
Clayton Beresford sembra avere tutto dalla vita: una bellissima fidanzata di nome Samantha Lockwood, una madre che lo adora, una florida attività e un cospicuo conto in banca. Invece, la vita di Clay è assai lontana dalla felicità: la sua relazione con Sam deve rimanere segreta a causa di una madre in realtà troppo gelosa e – come se non bastasse – dovrà a breve sottoporsi ad un urgente trapianto di cuore.
RECENSIONI
Per il debutto nella regia Joby Harold prova, non sempre riuscendoci, a trasformare in cinema un aneddoto da bar. Cosa succederebbe se durante un intervento chirurgico in anestesia totale si diventasse testimoni di ciò che accade in sala operatoria senza perdere completamente coscienza? Una didascalia iniziale informa che la possibilità che ciò si verifichi esiste realmente e, ogni anno, dei 21 milioni che ricorrono all‘anestesia totale ben 30 mila (uno su 700) non si addormentano e sono vittime della cosiddetta "consapevolezza anestetica". Il cinema, si sa, ama le iperboli, ma la sceneggiatura, dello stesso Harold, finisce davvero per esagerare. Ecco cosa accade in meno di dodici ore al protagonista: si sposa, subisce un trapianto di cuore, vive l’esperienza in stato di veglia, sventa un complotto omicida, risolve un pesante complesso di Edipo, supera il trauma della morte del padre e, per rispetto del lettore, si tralascia il resto. Nella seconda parte, infatti, le sorprese si sprecano e arrivano a spiazzare soprattutto per l’assurdità con cui gli sviluppi giocano costantemente al rialzo. Se la chiusa pare frettolosa e quanto mai implausibile, non brilla nemmeno la fase preparatoria, con conflitti da rotocalco in cui l’amore mieloso e, ovviamente, contrastato vede la pulzella tapina alle prese con il rampollo miliardario e la di lui austera madre. Il tutto tra loft vintage da spot, appartamenti da sogno, improbabili pause a pescare nella baia newyorchese, ospedali deserti ed equipe mediche striminzite per esigenze di copione e, soprattutto, con l'etica sotto i tacchi. Il soggetto (debitore sia del tedesco Anatomy di Stefan Ruzowtzky che del nostrano La corta notte delle bambole di vetro di Aldo Lado) avrebbe le carte in regola per trasmettere brividi e angoscia, ma se fino al momento clou dell’intervento chirurgico l’attenzione è desta, con la svolta new-age, in cui l’incorporeo si concretizza in un protagonista etereo ma visibile e parlante, la tensione per gli esiti del trapianto viene soffocata dai troppi ribaltamenti previsti dalla sceneggiatura. La regia, poi, affidandosi più alle parole che alle immagini e a equazioni piuttosto ingenue (luce = vita e buio = morte), finisce per banalizzare le premesse, smorzare la tensione e disperdere l'interesse. Ad agganciare allo schermo ci pensa la solidità della confezione, dalla fotografia raffinata di Russell Carpenter (Titanic) al montaggio particolarmente fluido di Craig McKay (Il silenzio degli innocenti), e anche i due bistrattati interpreti principali, Hayden Christensen e Jessica Alba (esageratamente candidati ai Razzie Awards), risultano adatti ai ruoli bamboleggianti previsti dal copione (il cocco di mamma e la "impossibile non cederle"). Può sembrare poco, e infatti non è abbastanza, ma, pur nei limiti detti, l’intrattenimento è garantito. Con un po' più di coraggio, meno stupidaggini e meno ansia di stupire a tutti i costi, avrebbe potuto diventare un piccolo caso.