TRAMA
Come in un malinconico ballo autunnale si intrecciano le vite di alcuni personaggi alle prese con lo spettro della solitudine e con disillusioni di vario genere, sullo sfondo di desolazione urbana offerto da una periferia dell’Europa Orientale.
RECENSIONI
Insofferenza baltica
“Non ho molto da aggiungere riguardo il soggetto del film che semplicemente racconta della solitudine esistenziale dell'uomo. E' difficile fare un film sull'argomento senza ritrovarsi poi in un lago di lacrime e per questo motivo ho voluto conservare una certa vena di ironia. Ho evitato ogni riferimento a contesti storico-sociali nella descrizione dei personaggi convinto come sono che le strette relazioni umane e le nostre aspettative a riguardo sono la causa principale della nostra sofferenza.”
Veiko Õunpuu
Autunno triste tra i palazzoni di Lasnamäe, lembo periferico di un agglomerato urbano dell’Europa Orientale rassegnato al grigiore. Pur girando costantemente a vuoto, le vite di alcuni tra gli abitanti di questo scenario desolato, contornato dagli anonimi edifici di epoca sovietica, mostrano a tratti un ostinato e disperato vitalismo. Col rischio concreto di ricadere presto nel baratro, di farsi inghiottire dalla monotonia di un’esistenza che non offre molte alternative. Nelle intersezioni quasi altmaniane del racconto annaspano personaggi in difficoltà, che cercano comunque una risposta al loro disagio. C’è la giovane coppia in crisi, con lei perennemente costretta a sorbirsi i commenti amareggiati di un compagno scontento del proprio lavoro. C’è il mascolino portiere d’albergo che compensa la propria difficoltà ad instaurare relazioni complesse, portandosene a letto una dopo l’altra, ed annotandone con cura maniacale nome e segno zodiacale. C’è lo scrittore senza più ispirazione che è stato appena lasciato e non riesce a farsene una ragione. Personaggi pressoché archetipici, questi ed altri, ma tratteggiati con mano felice; senza peraltro rinunciare, al momento di definirne le problematiche esistenziali, al gusto del paradosso e della provocazione ironica, destabilizzante, spinta se necessario ai confini del grottesco. Un merito non da poco, che si può ascrivere tanto alla personalità registica sorprendentemente matura di Veiko Õunpuu, il cui esordio al lungometraggio è stato persino premiato nella sezione Orizzonti di Venezia 2007, che alla adeguata fonte di ispirazione da lui trovata nel romanzo di Mati Unt. In Sügisball la poetica del giovane regista estone scivola dal generale al particolare con ammirevole intensità, descrivendo da un lato l’assenza di prospettive che sembra contagiare ogni ambiente con cui interagiscono i personaggi, ma indirizzando poi uno sguardo ancora più sarcastico e ferocemente lucido, disincantato, sul mondo della produzione culturale e sui suoi interpreti ogni giorno più stanchi, irrimediabilmente a corto di motivazioni e slancio creativo. Dalla giovane poetessa talmente estranea alla realtà da scambiare per un affascinante ed ermetico scrittore il taciturno portiere d’albergo, introdottosi in incognito e solo per curiosare ad un convegno letterario sui fermenti (pochi) della scena baltica; fino all’artista figurativo che ammette di non produrre più opere, suo malgrado, avendo trovato un impiego di gran lunga più remunerativo nella polizia stradale; sono svariati e tutti molto incisivi quei personaggi che, attraverso piccole miserie quotidiane, contribuiscono a mettere a fuoco il disgregarsi di un’identità culturale e un senso di precarietà diffuso.
Stefano Coccia