Drammatico, Recensione

AURORA

Titolo OriginaleSunrise - A Song of Two Humans
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1927
Durata97'
Sceneggiatura
Tratto dadal racconto di Hermann Sudermann

TRAMA

Un uomo e una donna sono sposati e vivono sereni nella loro casa di campagna. La loro tranquillità verrà rovinata quando l’uomo perderà la testa per una donna di città.

RECENSIONI

Così affermava un’anziana signora in uno dei migliori film che siano mai stati realizzati. Cosa intendeva esattamente, nella visione di questa fiaba gotica di Murnau risulta chiaro e lampante: su un tappeto di perenne sperimentazione visiva si stende una storia semplice, elementare, quasi amabilmente banale. Ecco il primo indizio per interpretare il divario: l’argomento del film non è volto a corteggiare, ingraziare, affabulare il pubblico ma bellamente se ne frega di chi guarda (fu un successo mancato al botteghino), imboccando la sua strada che potrebbe deragliare nel melò o semplicemente andare da nessuna parte. Dunque affiora un altro elemento: il risveglio emotivo dello spettatore, che AURORA ottiene pienamente, non è più (/ancora) dovuto alla materia trattata ma alla maniera di trattarla, tutto concentrato nell’inanellare una pioggia di invenzioni grafiche che scorrono in fila indiana. Murnau non si impegna a parlare di amore tradimento omicidio amore tragedia e amore di nuovo, ma placidamente seduto accanto al fuoco si concentra soltanto sull’ingrassare il racconto, renderlo esplosivo ed infine farlo esplodere: affidato forzatamente all’espressionismo di volti e gesti, il suo risultato è un Luna Park mirabolante e decadente, che in testa mantiene costantemente un’idea precisa. Simboli semplici ma efficaci, dettagli quasi, accompagnano il movimento narrativo: l’Uomo è perseguitato da sembianze animali, dal cavallo che “rimprovera” il pensiero omicida della sua mente con un solo, lancinante nitrito fino all’angelo canino che tenta di evitare il compiersi del delitto (ergo: ritardando il piano fatale induce forse alla riflessione e –chi può dirlo- favorisce l’epifania del protagonista). Non solo: se gli animali sono l’anima nascosta della storia, compreso il pollame che mestamente si nutre dei propri chicchi, allora anche la gioia merita un’adeguata incarnazione, all’interno di un personale simposio in cui anche un maialino festeggia, “si ubriaca” con i personaggi. L’ambiente cittadino della perdizione coinvolge i suoi rappresentanti mentre la storia si guarda allo specchio nell’estetica della sua prole (la Donna di Città che insozza gli zoccoli nella palude, l’Uomo sbarbato dopo la riconciliazione); rispettando in pieno il meccanismo favolistico si chiude la circolarità proprio nel talamo dov’era iniziata. In mezzo? Sovrapposizioni visive inaspettate (Greenaway abitava qui), espressioni sceniche addirittura ingenue ma d’ineffabile bellezza (la perversa seduzione, il rifiorire dell’amore), un carrello che scruta lungamente gli interni di un tram, manicheismo necessario ed avvolgente, un pianto liberatorio sgorgato dalla fontana dell’invenzione registica, abbattendo a mani nude la muraglia di sentimentalismo e retorica. AURORA ti prende e ti porta con sé dove vuole, esercitando sui tuoi occhi tanto potere da stabilirne addirittura la lacrimazione. Chaplin balla sul rasoio del circo e Murnau si tuffa nel plenilunio fino a trovare la luce della catarsi: il cinema possedeva dei nonni dispettosi, ancora oggi conturbanti, da amare senza condizioni.