TRAMA
Alcune cellule terroristiche del fondamentalismo islamico seminano il terrore a New York. L’Fbi non riesce a fermarle.
RECENSIONI
Il nemico della Democrazia non è solo "all'interno", è anche "interno", agisce attraverso le istituzioni applicando quel "fine giustifica i mezzi" che fa perdere di vista i principi ispiratori. The Siege (l'assedio, titolo originale) è il terzo capitolo di un'ideale trilogia bellico/etica (sempre con Denzel Washington) di Edward Zwick, tesa a sconfiggere i nemici della verità e la paura del diverso. Dopo il passato di Glory (la Guerra di Secessione) e il presente de Il Coraggio della Verità (la Guerra del Golfo), ecco il futuro prossimo con la sindrome di "Oklahoma City" (ai tempi, spettatrice di un attentato terroristico) e la terribile meraviglia di Brooklyn vittima delle esplosioni e della legge marziale: simile, per altro, a quella messa in atto dal regista per porre inesorabilmente sotto "assedio" lo spettatore, vittima (compiacente) di una strategia della tensione (drammaturgica) in cui il terrore aumenta in modo esponenziale, con la verità che fa breccia fra il fuorviante manicheismo che oppone Occidente (i tre protagonisti sono i tre “cuori” che lo contraddistinguono) ed Islam e rinviene responsabilità in più (alte) sfere. L'ultimo baluardo statunitense della ragionevolezza è l'Fbi (non a caso, composta di più ceppi etnici…), contro il triplogiochismo di una Cia che perde il controllo delle proprie "creature" sparse per il mondo e contro il "fondamentalismo" guerrafondaio dell'Esercito, che, cavalcando l'onda di panico, la paura del diverso, finisce per replicare a Brooklyn i campi profughi del Medio Oriente. Solo la Fede (ai principi della Costituzione, senza deroghe o scorciatoie) vincerà la partita a poker contro la violenza dei fanatici e l'animo corrotto dei miscredenti (il personaggio di Denzel Washington sottolinea: sono cattolico): Zwick rovescia la medaglia, e scopre due facce, due culture opposte, con lo stesso volto. Dà spettacolo, ma anche una bella lezione di civiltà, fatta la tara delle enfasi retoriche cui, purtroppo, non rinuncia mai. Anche le scene truculente (la donna senza un braccio che scende le scale) sono un suo inconfondibile marchio di fabbrica.