Documentario, Recensione

ARRUZA

NazioneU.S.A., Messico
Anno Produzione1972
Durata73'

TRAMA

L’edizione dell’anno 2000 del TFF aveva dedicato una delle sezioni Americana ai Western di Boetticher con Randolph Scott, quest’anno, in occasione della pubblicazione dell’autobiografia del regista, “When In Disgrace” (ed UTET per conto TFF, eur. 14,46), l’evento speciale è “Arruza” (1972), purtroppo nella sola versione video, non essendone stata ritrovata altra copia.

RECENSIONI

"A volte nasce un uomo la cui vita è così diversa, così pericolosa, così onorevole e piena di coraggio da poterla raccontare solo una frammento per volta. Questa è la storia di un frammento della vita di un uomo di quel genere. E' la storia di Carlos Arruza"

Per otto anni Boetticher si affanna, attraversando crisi personali, due matrimoni, finanziatori che appaiono e scompaiono, colleghi ed attori che attorno a lui si affannano per farlo tornare ad Hollywood o per relegarlo definitivamente in Messico. Carlos Arruza, Charlie, "El Ciclòn", amico di Budd fin dagli anni in cui non era che un novillero (un giovane torero), è il protagonista di questo strano miscuglio di documentario, breve biopic e fiammeggiante fiction: il più grande torero della "seconda età dell'oro delle corride", concorrente per lunghi anni di Manolete nel cuore degli aficionados messicani, indiscusso uomo di fegato (BB fa subito notare nell' autobiografia che non è cosa da poco tener los huevos, le palle, con un toro che  ci passa ad un paio di centimetri) e tempra - bizze comprese - della grande star.
Ritiratosi dalle corride Carlos promette di non indossare mai più il traje de luces, l'abito del torero, acquista una tenuta, Pasteje, d'allevamento di tori ed incomincia a pensare come svicolare dalla parola data; acquista tre cavalli portoghesi, i migliori, è ovvio, addestrati a rejonar e inizia ad allenarsi. Boetticher, torero in prima persona, assistente alla regia ed addetto tecnico per "Sangue e Arena" di Mamoulian, regista di "Bullfighter and the Lady" insegue il sogno di un film sulla corrida in cui oltre al fascino del movimento, della folla, sia impresso anche il gusto della fatica, la polvere dell'arena. "Avevo pensato Arruza come al Red Shoes dei film sulla corrida, un balletto a contrappunti[…]", e ancora "Non sarebbe stato meraviglioso se il regista di The Agony and The Ecstasy" avesse avuto a disposizione Michelangelo invece di Charlton Heston?", a lungo combattuto sul protagonista tra Luis Miguel Dominguin e Carlos Arruza, il ritorno sulle scene di quest'ultimo in una veste nuova - il traje dei rejonadores è corto e nero, perfetto per svicolare la promessa - fa decidere il regista.
Lentamente la macchina da presa avvolge Plaza Mexico, l'arena più grande d'America, un catino di cemento armato circondato dalle statue bronzee dei più grandi bullfighters. I tori si agitano nel piccolo recinto interno, vengono smistati con corridoi ciechi, il sole segna ogni superficie scandendo la percezione dello spazio: Arruza ed i suoi aiutanti entrano nella sabbia per il paseo d'apertura, a cavallo saluta la folla, dal 1953 (nella realtà questa non è la prima corrida ma non importa) non aveva più tagliato orecchie e code (i premi del torero), a quarantasei anni ora, a cavallo, come nessuno l'aveva mai visto torna e, sugli spalti, "gli aficionados si alzarono in piedi, tutt'uno, per acclamare il ritorno del loro idolo. Erano tutti lì: gli anziani, che avevano zoppicato fino a Plaza Mexico, nel ricordo di Carlos ragazzo, gli uomini dell'età di Arruza, che non accettavano nessun altro "Numero Uno", i giovani accorsi a sincerarsi che la leggenda fosse vera, e i bambini portati dai genitori a provare che lo era". Carlos sfodera tutti i pezzi di bravura, Gavilàn, l'enorme bovino da  matàr, segue i movimenti del suo nemico, quasi docile: i passi del torero, lo sventolio della muleta (il drappo rosa/giallo) sono le armi con cui Arruza incide nella memoria e commuove tanta bellezza esplosiva. A Pasteje, Mari Arruza aspetta la notizia della vittoria portatale dai figlioletti, in altre sequenze l'abbiamo vista a cavallo con Carlos in una drammatizzazione della scoperta dell'arte del rejonar, al tramonto; i figli giocare col padre alla corrida, col matador nelle vesti del toro, tutti lavorare nella tenuta. Tramonti di fuoco spengono il furore della polvere, con il suo montaggio calibrato e netto, con la rilassatezza della pace. La voce narrante di Antony Queen accompagna le immagini, la fotografia carica ed emotiva è di Lucien Ballard.

"Non vedremo mai più Carlos Arruza. E' morto poche settimane dopo, per un insensato capriccio del destino, quando la sua automobile ha sbandato sull'asfalto bagnato di pioggia della strada per Rancho Dolores. Non guidava nemmeno lui. Dormiva, quel 20 di maggio del 1966. Ma un uomo non muore finché non muore l'ultimo degli uomini che lo ricorda. Quindi, Carlos Arruza vivrà per sempre"

La m.d.p. scopre a Plaza Mexico la statua di Carlos Arruza.