Drammatico

ARRIVEDERCI RAGAZZI

Titolo OriginaleAu Revoir les Enfants
NazioneFrancia/Germania
Anno Produzione1987
Durata103'

TRAMA

Francia, inverno 1944; in un collegio gestito da religiosi l’adolescente Julien fa amicizia, superando l’iniziale ostilità, col nuovo arrivato, il misterioso e introverso Jean. Il vero cognome di Jean è Kippelstein; il direttore della scuola lo ha accolto in incognito insieme a due compagni. L’inserviente di cucina Joseph, licenziato perché scoperto a rubare, si vendica denunciando agli occupanti tedeschi la presenza di ebrei nel collegio.

RECENSIONI

La vita degli adolescenti, durante la guerra e l'occupazione nazista, scorre nell'atmosfera protetta del collegio tra difficoltà economiche, piccole cattiverie, lo spirito di gruppo, l'impulso a primeggiare per evidenziare la propria individualità, la differenza di ceto che affiora crudamente nelle umiliazioni inflitte a Joseph, gli improvvisi atti d'altruismo dettati dal senso di giustizia, il fascino dell'avventura e della disubbidienza, la scoperta della solidarietà, la lettura di Verne e di Dumas, di Conan Doyle e di Le Mille e Una Notte. La Storia filtra per frammenti attraverso gli occhi d'un ragazzo, col mistero e la crudeltà che le sono proprie: un soldato tedesco chiede al sacerdote di potersi confessare; un uomo ha appuntata una stella gialla sul bavero della giacca; all'ostilità verso il governo collaborazionista di Pétain e di Laval si accompagna l'acquiescenza ora nervosa, ora complice, ora ottusa senza essere malvagia (la madre di Julien) verso le prepotenze dell'occupante; al ristorante si paga con le tessere annonarie; per vincere il freddo, si sta in classe col cappotto indosso; il direttore del collegio incalza con paterna durezza, redarguendo gli studenti per le loro bravate ed esortando gli adulti al coraggio dell'autentica carità. Gli sguardi di Julien, di volta in volta furtivi curiosi socievoli stupiti rabbiosi gioiosi sgomenti, sono il nucleo attorno a cui pulsa il film, e miracolosamente restituiscono anche allo sguardo dello spettatore una verginità altrimenti irrecuperabile.
In ambedue le direzioni, la definizione psicologica ed emotiva dei protagonisti e il quadro storico emergente dall'esperienza d'un dodicenne, Malle è un concertatore perfetto; la progressione drammatica della vicenda privata e di quella pubblica è al tempo stesso intensa e antiretorica, pudica e intima, dimessa ed estremamente controllata, in una sceneggiatura di prodigiosa sensibilità. Sono bellissime le inquadrature indugianti che colgono Jean e Julien nelle loro conversazioni, nella loro reciproca diffidenza, curiosità, fascinazione. Per fare solo un esempio (molti ne sarebbero possibili), la scena della lezione di piano rivela con stupenda sintesi, attraverso la mediazione della distratta simpatia della maestra, un tratto del profilo dei due ragazzi (l'impazienza ribelle ma al sicuro di Julien, il docile abbandono di Jean alla malinconia dolente e allusiva di Schubert) e uno dei nodi della loro relazione: l'attrazione per il diverso, unita alla paura di esserne contagiato nell'intimo (ovvero di scoprire l'altro dentro di sé). Ugualmente funzionale è il montaggio inquieto nella scena della caccia al tesoro, vera iniziazione per Julien al pericolo e alla paura (quell'angoscia della morte e dell'inesorabilità del tempo su cui aveva speculato poco prima) che segnerà la nascita della nuova amicizia.
Nessun virtuosismo, ma una totale dedizione della forma – composta, trasparente, asciutta, perfino austera – alla necessità di esprimere una memoria implacabile (la fotografia di Renato Berta, una sinfonia di colori rattenuti e freddi, quasi spenti, dona al ricordo tutta l'amarezza della lontananza), il dolore della separazione, il senso di colpa per aver involontariamente concorso a determinare il destino dell'amico. Si osservi la memorabile sequenza finale: un carrello laterale in campo medio mostra il direttore del collegio che procede verso il portone del cortile, seguito dai tre ragazzi ebrei scoperti dalla Gestapo e insieme a lui arrestati; gli studenti riuniti nel cortile cominciano a salutare Padre Jean e lui, con voce quasi lieta e d'incoraggiamento, li saluta a sua volta. Tutti rispondono in coro, ripetutamente. Quando Jean sta per uscire, si volta a incontrare lo sguardo dell'amico; Julien in primo piano alza timidamente la mano a mo' di saluto; Jean viene trascinato via dal soldato tedesco. Per qualche secondo, prima di tornare a Julien con un impercettibile carrello in avanti, la m.d.p. immedesimata nello sguardo del ragazzo fortunato – il ragazzo al di qua dell' “orlo nero” (R. Loy) che silenziosamente inghiotte milioni di individui – resta a osservare lo spazio lasciato vuoto da Jean, il portone semiaperto del cortile nel freddo nevoso di gennaio. In quel vuoto che ingigantisce davanti a noi, sta il peso incancellabile e necessario della memoria e della responsabilità, della consapevolezza d'aver trovato e perduto un padre putativo (il direttore della scuola) e un amico. Raramente come in questo momento una singola e spoglia immagine è stata densa di significato e di commossa poesia.
Non meno toccante la sequenza in cui ai ragazzi viene proiettato un film, e per un momento tutti quanti – adulti e ragazzi, ricchi e poveri, ariani ed ebrei – sono riuniti davanti alla struggente magia delle vicissitudini di Charlot Emigrante, e ne vengono rapiti: nel mito dell'ebreo errante, e di fronte alla sequenza in cui gli emigranti, mentre guardano ammirati e speranzosi la statua della Libertà, vengono costretti in un recinto dai poliziotti, l'umanità intera sa riconoscersi, perché riconosce “il tragico conflitto fra realtà sperata e realtà imposta dal contesto sociale” (Frye). Una realtà di esclusione e discriminazione, ribadita nella bellissima scena in cui Jean, toccato dalla fervida omelia del direttore, vuole prendere parte al rito della Comunione e si avvicina al sacerdote, ma questi lo osserva accigliato e dopo un istante lo oltrepassa senza offrirgli l'ostia consacrata.
La voce narrante in prima persona è quella del regista; nella versione doppiata è di Franco Brusati, al quale Malle aveva chiesto di sovrintendere all'edizione italiana.