TRAMA
Un viaggio attraverso la bellezza mutevole e la pura potenza dell’acqua.
RECENSIONI
Uomini che estraggono una macchina dal ghiaccio del lago Baikal, in Russia. Una donna naviga nell’oceano. L’occhio che vaga per l’uragano Irma in Florida, tra strade divelte e palme spezzate. Il maestoso Salto Angel in Venezuela. Il cineasta russo Victor Kossakowsky continua a filmare la natura per sondare l’immagine e l’impressione che produce: riflette sull’acqua in Aquarela, come sui doppi in Vivan Las Antipodas!. Girato a 96 fotogrammi al secondo, il film cattura l’elemento nei suoi molteplici caratteri: estasi o devastazione, dice il regista, ma anche la mescola delle due come avviene nel primo frammento, l’incanto del lago siberiano che si rivela letale per chi lo percorre nell’impressionante ripresa “vera” dell’incidente. Ecco che ispirazione e distruzione possono intrecciarsi, a volte nettamente divise e altre perfino inestricabili: l’acqua rilascia un’attrazione-repulsione non tanto per le figure del film, ma agli occhi di noi che guardiamo.
Come uso nel suo lavoro, Kossakowsky cesella immagini ipnotiche frutto di appostamenti, che dialogano tra loro in sede di montaggio: così porta lo sguardo di nuovo agli opposti, dalla meraviglia alla paura. «Attraverso la lente dell’acqua si possono provare tutte le emozioni conosciute», sostiene: e l’opera si muove sull’intero spettro, fino alla chiusura a Salto Angel, la cascata più alta del mondo, in cui l’acqua apparentemente “cade” nel cielo. Qui le sensazioni sono ormai fuse: la scena è sia splendida che terribile.
Fuori concorso a Venezia 2018, una vetta del festival.