TRAMA
Anno 2131. Una guerra non-nucleare ha distrutto il pianeta Terra. La giovane Deunan Knute viene portata in salvo ad Olympus, dove scopre che più della metà dei suoi abitanti sono cloni.
RECENSIONI
Back to the "Anime"
Dal manga di Shirow Masamune, pilastro della fantascienza cyberpunk nipponica già ispiratore di "Innocence" di Oshii Mamoru, arriva il sofisticato "Appleseed", diretto da Aramaki Shinji, uno dei più apprezzati "mecha desigher" degli ultimi anni, e con la direzione degli effetti visivi di Sori Fumihiko, già supervisore agli effetti speciali di "Titanic" e regista di "Ping Pong", grande successo commerciale giapponese. Il risultato si caratterizza come fortemente innovativo dal punto di vista tecnico, ma chi non è estimatore del genere difficilmente troverà appigli di emozione al palesarsi dell'ennesima storia di guerra futuribile tra umani e cloni. Il racconto, infatti, pur costruito con cura per i dettagli e le caratterizzazioni dei personaggi, è piuttosto complicato ed è facile perdere il senso della scansione degli eventi. Tra donne soldato, cyborg, cloni e sfuggenti parentele, a tenere desta l'emozione è l'incredibile tecnica a supporto del film. La cosa più innovativa è il rifiuto del fotorealismo. Al primo colpo d'occhio, infatti, si crede a un abbinamento tra personaggi bidimensionali e fondali digitali. In realtà, l'intera pellicola è realizzata in computer grafica e i personaggi, seppure di sintesi, sono volutamente creati ricalcando lo stile degli anime (per chiarirci, occhioni sgranati ed essenzialità del tratto). La tecnica, che prende il nome di "toonshading", appiattisce le ombre creando una perfetta integrazione tra stili diversi, raramente accostati in modo così fluido. A guadagnarne è anche l'espressività, perché alla gelida perfezione dei volti in 3D (dalla rigidità di "Final Fantasy" alla cupezza con venature horror di "Polar Express") contrappone il calore e la malleabilità degli "anime". A garantire stupore e magnificenza sono anche gli spettacolari fondali digitali. Basta vedere la città di Olympus, sorta di artificiale paradiso terrestre, in cui le scelte cromatiche sembrano decise appositamente per abbracciare l'occhio. Peccato per i troppi combattimenti, i botti e le esplosioni, che, irrinunciabili dato il genere, rischiano però di anestetizzare gli ingenti sforzi produttivi e la forza sperimentatrice dell'opera.
