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- Paul Rudd
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TRAMA
1989: Hank Pym ha scoperto l’omonima particella Pym, dai poteri restringenti. Anni dopo Scott Lang entra in possesso (ruba) la tuta rimpicciolente di Pym, il quale ha deciso che sarà lui, Scott, il nuovo Ant-Man.
RECENSIONI
Di Ant-Man sappiamo che ha avuto una gestazione complessa e che, fondamentalmente, si tratta di un progetto di Edgar Wright rimaneggiato, riscritto e affidato a Peyton Reed.
Direi che sappiamo anche troppo per non farci condizionare. Conosciamo Edgar Wright, abbiamo visto la sua Trilogia del Cornetto ed è impossibile non vedere nell’ultimo film Marvel l’oggetto che è ma che avrebbe potuto/dovuto essere. L’ironia di Wright è qualcosa di sottile, imploso, carsico. Prende un referente e lo omaggia senza esagerazioni parodico/demenziali ma operando leggeri quanto decisivi e divertenti slittamenti di senso, sia formali che contenutistici. Ora esplicitando sottotesti sociopolitici impliciti negli originali (in Shaun of the Dead i personaggi vivono già da non-morti, caracollando pallidi e zombeschi, prima ancora di venire infettati), ora rovesciando situazioni note in senso comico (nel finale de La notte dei morti viventi l’eroe viene scambiato per uno zombi e ucciso, in Shaun i protagonisti scambiano una zombi per una viva e la uccidono per errore), ora settando i registri comici su livelli quasi subliminali, come in Hot Fuzz.
In Ant-Man c’è qualcosa di Wright. Il progetto stesso, l’idea che il più piccolo degli eroi Marvel sia protagonista di un piccolo film Marvel diverso dagli altri, un circo delle pulci contrapposto ai mega-baracconi ultraspettacolari, è piuttosto wrightiana. Idea che ogni tanto viene cinematografata con inventiva ed efficacia, come nella sequenza col Trenino Thomas, nella quale la dialettica micro-macro dà consistenza filmica al senso dell’operazione, con le inquadrature al microscopio che non si discostano troppo dall’estetica marveliana, mentre il piano fisso a grandezza naturale svela l’inganno e disinnesca tutta l’epica supereroistica, mostrando il silenzioso disastrino ferroviario da cameretta. Ogni tanto, si diceva. Forse solo questa volta, anzi.
Perché per il resto, Ant-Man sembra un oggetto privo di personalità e direzione. Si avvicendano momenti Marvel e momenti parodia-Marvel e anche l’ironia alterna momenti propriamente Marvel a momenti che ironizzano sulla stessa ironia Marvel, senza che sia dato scorgere una vera progettualità, un’intenzione. Anche registicamente, la dialettica tra funambolismo miniaturizzato e ordinarietà 1:1 funziona solo nella citata sequenza Thomas & Friends. Altrove, il dialogo mini-mega non sembra guidato da un’idea precisa da perseguire ma dalla semplice necessità di uniformare il film all’universo Marvel-Movie mentre, in un certo senso, si è costretti a prenderne le distanze. E le sequenze in questione non sono né coinvolgenti né divertenti, non funzionano né al primo né al secondo grado di lettura ma risultano semplicemente confuse e poco sensate, coi continui rimpicciolimenti/ingrandimenti del protagonista.
Detto questo, Ant-Man ha i suoi momenti moderatamente divertenti e le sue trovate, ma l’indecisione/altalenanza tra epica e antiepica, la confusione tra registri lascia interdetti e insoddisfatti.