TRAMA
Una studentessa, appena accettata al MIT di Boston, causa un terribile incidente mentre è alla guida della sua auto, distratta dall’apparizione nel cielo di un pianeta che sembra essere un duplicato della Terra…
RECENSIONI
Guarda in cielo Rhoda, in piena ebbrezza alcolica e astrofisica, e scruta l'apparire di un corpo celeste al tempo stesso familiare ed alieno. Catturata e ipnotizzata da traiettorie altre, non si accorge della sua, del tragico movimento del suo microcosmo. La collisione di due mondi, quello di una studentessa di belle speranze e quello del professore e compositore John Burroughs, marito e padre felice, è ripresa da un dolly ascendente, uno sguardo dall'alto ineluttabile di fronte allo schianto. Al laborioso rigenerarsi delle vite di entrambi si assisterà invece da un punto di vista interno, turbato, umbratile. L'orbita descritta da Another Earth, opera low-budget acclamata e premiata al Sundance Film Festival del 2011, incrocia quelle di pianeti maggiori. Come, ad esempio, Moon di Duncan Jones (la contemplazione della Terra tra malinconia e utopia, il tema del doppio) o Melancholia di Lars Von Trier (l'immagine speculare e vertiginosa di un pianeta incombente come catalizzatore di ansie e inquietudini tutte terrene, il denudarsi fragile di fronte alla luce dell'astro). E ad attraversarla fugacemente sono anche un impalpabile pulviscolo kieslowskiano e lontane risonanze provenienti dalla galassia Tarkovskij.
Primo lungometraggio di finzione diretto dal trentaduenne Mike Cahill (da lui anche prodotto, fotografato, montato nonché sceneggiato assieme all'attrice protagonista Brit Marling), piccolo dramma intimista sull'elaborazione del senso di colpa e sul mito, osservato con disincanto, della seconda occasione, Another Earth vede l'ipotesi fantascientifica piegarsi fin da subito a quella esistenziale e diventarne funzione: dopo l'incidente Rhoda ricomincia da zero avviando un difficoltoso percorso di riabilitazione personale in cui l'espiazione (il suo dedicarsi indefesso all'attività di addetta alla pulizie sia in un liceo che in casa dell'uomo cui ha distrutto la vita lasciando solo macerie, sottolineatura dal simbolismo semplice quanto ovvio) è legata inestricabilmente alla pulsione di fuga che doppia l'impasse iniziale della pulsione di morte (la partecipazione al concorso per far parte della prima spedizione su Terra Due, l'occasione di avvalersi dell'alternativa del 'mai accaduto'). Sarà significativamente il contatto con l'altro, l'accorgersi dell'esistenza altrui, a spezzare la circolarità infruttuosa del paradosso del mondo-replica, ad incrinare l'immobilità dell'immagine allo specchio e così aprire faglie di salvezza, far intravedere un 'insperata biforcazione del destino.
Il regista adotta una messinscena sospesa e impressionista in linea con il materiale narrativo introspettivo, attingendo a tutto un repertorio indie-arty con una diligenza non sempre controllata a dovere: camera mobile e vacillante, abbondanza di primi piani e dettagli, uso (e abuso) di zoom, ralenti atmosferici, sgranature e altre alterazioni percettive, ovattata ambientazione provinciale, una tavolozza cromatica dominata dalle tonalità dell'azzurro e del grigio, l'evocativo minimalismo ambient della colonna sonora (a cura del duo newyorchese Fall On Your Sword), l'immagine della Terra Due a siglare quasi ogni inquadratura in esterni. Se qualche momento raggiunge la giusta intensità (su tutti il collegamento in diretta tv della dottoressa dell'Istituto per la Ricerca delle Intelligenze Extraterrestri con il suo doppio su Terra Due) il film sconta però pleonasmi metaforici (il collega volontariamente sordo e cieco 'stanco di vedersi dappertutto'), una certa sommarietà psicologica che ne limita le sfumature di senso, un disperdersi precoce delle potenzialità narrative per assestarsi sulle coordinate di un pallido mélo da camera. Salvo poi rilanciarsi nella calcolata ambiguità dell'immagine finale, di un'astuzia pari alla sua efficacia: un'altra vita è (im)possibile.
