TRAMA
A Praga, qualcuno attenta alla vita del protettore del Terzo Reich Reinhard Heydrich. La Gestapo cerca una ragazza che li ha sviati dall’assassino e che ora lo accoglie in casa. Inizia la rappresaglia sui civili, fra cui il padre professore della ragazza.
RECENSIONI
Anima e corpo: Fritz Lang, che da Berlino fuggì sferzando da subito quel totalitarismo (vedi anche Duello Mortale), è anche produttore e co-soggettista addirittura con Bertolt Brecht (il film fu preso di mira dalla commissione McCarthy, iscrivendo lo sceneggiatore John Wexley nelle liste nere). L’idea è di cavalcare quello che, politicamente, fu un duro colpo per il Terzo Reich, quando la resistenza riuscì a uccidere a Praga l’odiato boia Heydrich. Gli autori, partendo da qui, inventano di sana pianta un racconto sugli attentatori e il loro modo di sfuggire alla polizia, ma il copione di Wexley (Confessions of a Nazi Spy, 1939, Anatole Litvak) è la parte debole di tutta l’operazione, a volte assecondata dalla messinscena di Lang, che con gli impianti naturalistici e verosimili ha sempre avuto difficoltà. Troppi i passaggi che non stanno in piedi per verosimiglianza, dalla scena della polizia che insegue l’assassino e non si accorge che si è nascosto dietro l’angolo davanti a loro, al modo non spiegato con cui la ragazza intuisce chi è l’assassino, sono molti i passaggi zoppicanti a causa di scrittura e relativa messa in immagini (il top è quando la Gestapo perquisisce tutta la casa del medico in cerca del ferito e non guarda dietro la tenda). Ma veniamo alle qualità: è palpabile l’ansia di rivalsa di Lang nel dipingere come mostruoso il nazismo con guerra ancora in corso (Hans Heinrich von Twardowski, nella parte di Heydich, fa davvero paura, anche se compare per poco); è principe, come sempre nel cinema di Lang, il dilemma morale: è giusto sacrificare centinaia di persone per salvarne una (la rappresaglia)? La sceneggiatura non motiva bene le ragioni del sì ma è questa la tesi del film, che contiene anche un altro tema prediletto dall’autore, quando oppone colpa del singolo e folla, inorridendo più per quest’ultima (anche se c’è un riscatto finale della “gente”). Lang era un maestro nel dare forma grottesca inquietante ai caratteri, divertendosi a vederli bastonare dalle loro vittime (il traditore Emil Czaka). Ad un certo punto, verso il finale, la trappola ordita contro quest’ultimo è uno spasso, per quanto inverosimile e spettacolare. A prescindere, il film vale tutto per il personaggio di Alexander Granach, il capo ispettore della Gestapo Gruber: geniale, intuitivo, sadicamente divertito da ciò che lo circonda, è una figura curiosa che Hollywood non saprebbe scrivere, quando si tratta di pennellare il nemico senza volto e moti che inducano simpatia (infatti, negli Stati Uniti il film fu proibito fino agli anni Settanta, perché s’insinuava che contenesse dialoghi pro-comunismo: non è vero, è solo che tutti gli oppressi del mondo sognano un futuro di libertà).