Commedia, Recensione

AMORE E INGANNI

Titolo OriginaleLove & Friendship
NazioneGran Bretagna/ Irlanda/Francia/ Olanda
Anno Produzione2016
Genere
Durata90'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo Lady Susan di Jane Austen
Montaggio
Scenografia

TRAMA

L’affascinante giovane vedova Lady Susan Vernon si reca in vacanza a Churcill per scoprire gli ultimi pettegolezzi che circolano nella buona società. Il suo soggiorno a Churcill potrebbe rivelarsi molto utile per assicurare un buon partito a sé e uno alla sua giovane figlia, Frederica in età da marito. Ma la situazione si complica. Le sue maniere seducenti attirano l’attenzione del ricchissimo pretendente alla mano di sua figlia Sir James Martin, con il suo comportamento nei confronti di Mr Manwaring rende gelosa e infelice la moglie e con le attenzioni dedicate a Reginald DeCourcy, priva la sorella di Mr Manwaring, un’amabile fanciulla, del suo innamorato. Le donne della famiglia sono unite contro di me – dichiara Lady Vernon – che sarà costretta, complice la sua più cara amica e confidente Alicia, a cambiare strategia.

RECENSIONI

In una recente intervista («Sight&Sound», vol. 26, n. 6, giugno 2016), Whit Stillman ha dichiarato a proposito di Jane Austen: ««Non penso che possa esistere un altro scrittore al quale io mi senta più legato. Non credo che ci sia una frase in Jane Austen alla quale non mi senta vicino. [...]. Certo, oggi possiamo permetterci di fare cose più spinte di quelle che lei avrebbe consentito, ma l'essenza è la stessa e il punto di vista è lo stesso». Dal suo primo lungometraggio (Metropolitan ha debuttato al Sundance Film Festival nel 1990) liberamente ispirato a Mansfield Park, a questo Love & Friendship (presentato anch'esso al Sundance), che adatta la novella epistolare Lady Susan (scritta dalla Austen intorno agli anni 1793-95), le commedie cinematografiche di Stillman hanno continuato a ripensare e rielaborare, in un discorso filmico personale e coerente, quella che il critico letterario Lionel Trilling ha definito la «fondamentale ironia» della scrittrice: «la prima o fondamentale ironia di Jane Austen è il riconoscimento del fatto che lo spirito non è libero, che è condizionato, limitato dalle circostanze. Questa, come tutti sanno dall'infanzia, è davvero un'anomalia. L'altra sua ironia, conseguente alla prima, si riferisce al fatto che soltanto in ragione di questa anomalia lo spirito possiede virtù e significato». Nei film di Stillman, la rappresentazione di quella «anomalia» è la risultante del precario equilibrio fra collusione e collisione di prospettive, di rivendicazioni individuali e protocolli ambientali, che è al centro dei suoi racconti, con protagonisti giovani individui vagamente operosi, contorti e alteri, che dalla  ribalta di un mondo di opportunità sperimentano la prossimità della disfatta personale e collettiva, si muovono in contesti saturi di modi di dire e dirsi, presentare e presentarsi, immaginare e immaginarsi, e si aggiustano negli automatismi angusti, nelle etichette sociali e negli acronimi identitari di realtà in cui «è diventato un po’ complicato entrare» (Josh/Matt Keeslar in The Last Days of Disco, 1998) e da cui è quasi impossibile uscire.

Love & Friendship [1] racconta le strategie e la prassi della neo-vedova lady Susan Vernon (Kate Backinsale è l'interprete prescelta di un personaggio che è la versione matura e realizzata della snob e opportunista Charlotte di The Last Days of Disco), che nell'Inghilterra di fine XVIII secolo vive consumando matrimoni e patrimoni e sopravvive quale ospite delle dimore altrui nelle quali non può trattenersi («We don't live, we visit», spiega Susan alla figlia Frederica, rammentandole la loro condizione «estremamente precaria. Noi non abitiamo, siamo in visita. Siamo completamente in balia dei nostri amici e parenti»). La tensione fra il vivere e il sopravvivere e, a livello interpersonale, fra il trattenere e l'essere trattenuti, che declina nel film la «fondamentale ironia» austeniana, individua nello scatenamento dissimulato e razionalizzato della protagonista la manifestazione dell'istanza liberatoria di una donna costretta a pre-occuparsi del prossimo per restare felicemente sottomessa a se stessa: la rivendicazione del mandato libertario di una commedia che, quale riscrittura della storia di lady Susan Vernon finalmente liberata dall'intervento di narratori interessati (nel romanzo Love & Friendship: In Which Jane Austen's Lady Susan Vernon Is Entirely Vindicated, Stillman riscrive la vicenda narrandola attraverso la voce del nipote di Lady Susan: ma il tentativo di «mondare» il «buon nome» della zia dalle calunnie degli «assassini di reputazione» - e dalle distorsioni compilate dall'«Autrice zitella» - si rivela infine una manovra tesa a riabilitare soprattutto la reputazione del narratore stesso), illustra le ragioni della protagonista da una prospettiva che sposa infine il suo sguardo e il suo dinamismo risoluto.

Dalle trame del costume di Lady Susan, che rivendica la precarietà come valore e vede una rete di possibilità nelle dimore chiuse del Sentimento e della Rispettabilità; dalla messa in scena di case, unioni e personaggi perennemente «in balia» dell’altro (che il film tiene quasi sempre in campo), delle sue immagini e storie finalizzate, filtra lo scenario contemporaneo della transitorietà e della visibilità in cui «i fatti», come dice Lady Susan all’amica Alicia (Chloë Sevigny), «sono cose orribili». Fin dal principio la narrazione lascia fuori campo la realtà fattuale che minaccia di ridurre Susan a mero dato triviale, e fa dell’inquadratura il fronte rigoroso e contenuto delle mordenti battaglie, mascherate da incontri colloquiali, per il potere di affermarsi interferendo nelle trame degli altri. Nel prologo del film – una sorta di parodia del topos della partenza –, Susan abbandona frettolosamente Langford, la dimora dei «fatti noti» che la riguardano (la relazione con un uomo sposato, l’interesse per un ricco e sciocco pretendente). Come scrive Alberto Castoldi, è «la crisi di una cultura a essere denunciata aggrappandosi al motivo della partenza, come trauma di fronte a un venir meno dell’orizzonte. Trauma che mette in gioco una totalità, anche se vissuto individualmente». È la crisi della “cultura dei fatti” a essere rappresentata dall’avventura di un’eroina che ha rimpiazzato la reputazione con la notorietà e la rispettabilità con la visibilità. Quest’ultima, come nota Zygmunt Bauman, consiste appunto nell’onnipresenza dell’immagine di un «personaggio», nella frequenza con cui il suo nome viene menzionato: «le celebrità sono sulla bocca di tutti: sono il personaggio che non manca mai in nessuna famiglia. […] esse forniscono una sorta di collante che raccoglie e unisce aggregati di persone altrimenti labili e dispersi».

Lady Susan è fino in fondo quel personaggio, che si muove per muovere, si sistema per sistemare, dialoga per divulgare versioni verosimili di sé, attraverso le quali può in-trattenersi con l’altro e scongiurare quell’isolamento che (come dimostrano i primi piani di Alicia, "inchiodata" dai “fatti” di fronte al marito «rispettabile») è il marchio di una qualche disfatta. Trattenersi, non unirsi: perché a essere rappresentata dal cinema di Stillman è soprattutto la camminata come forma residua e ironica di un cammino definito, segnata dall’interruzione, dalla frammentazione e dagli assestamenti individuali nelle andature. Così, in Love & Friendship Lady Susan non avanza verso l’altro ma si muove di fianco a esso, e di quadro in quadro non evolve ma, come un’anomala eroina screwball, replica con apparizioni, fitte parole e ferree argomentazioni – con il proprio piacere e il proprio divertimento che sono anche e pienamente nostri – alle mancanze che distinguono il suo serpeggiante incedere: ha perso il marito e la casa, non ha più denaro né “buon nome”, ma si diverte – e diverte – chiacchierando con la sodale Alicia (e la re-visione della coppia Backinsale-Sevigny è puro godimento cinefilo) e ammutolendo le orgogliose sentenze di chi ha preteso di “sfamarla” con la rispettabilità. È proprio il ritmo della precarietà a essere restituito dalla struttura del film, attraverso una successione di brevi scene di dialogo e di rapidi inserti “di passaggio” che sono soprattutto – per dirla ancora con Bauman – momenti di sopravvivenza carichi di un nuovo inizio e della fine. Ed è propriamente il cinema di Stillman a celebrare la virtù femminina e affatto moderna di Lady Susan, figura irriducibile della transitorietà che è infine arrivata al simulacro che fermo-immagina fugacemente la fine nella felice stabilità di cui per ora noi tutti ci accontentiamo.

Whit Stillman e Jane Austen: l’incontro di due affinità precedentemente a distanza. La scrittrice è un modello del regista come lo erano, dietro le righe, Eric Rohmer e (in parte) Woody Allen nelle opere degli esordi. Della scrittrice Stillman adatta il racconto breve “Lady Susan” con un titolo (originale) che, invece, richiama un suo romanzo epistolare giovanile; ne amplia la narrazione a più personaggi e ripropone quel suo cinema da camera, teatrale, allo stesso tempo caustico e drammaticamente aderente. Ripresenta, anche, l’accoppiata Kate Beckinsale e Chloë Sevigny di The Last Days of Disco, nel ruolo di un duo terribile perché con trame da Le Relazioni Pericolose, per quanto il finale non punisca nessuno ma trovi un cantuccio per tutti, al limite facendo pagare il fio, come fosse ciò che meritano, agli idioti ignari (strepitoso il James Martin di Tom Bennett, una macchietta impagabile). Stillman ha un modo tutto suo per guardare a questi micro-mondi altolocati con distacco e/ma posa tagliente, e approfitta del film in costume e della prosa della scrittrice per scrivere dialoghi saettanti (la velocità di eloquio e la bravura di Kate Beckinsale sorprendono) su di una superficie disseminata di boe di segnalazione per, traslate, dire ferocità continue: un distacco teatral-brechtiano dichiarato sin dalla grafica dei titoli di testa, che passa per la voce fuori campo e la presentazione ironica dei personaggi, con nome e descrizione sovrimpressa. C’è, anche, il Greenaway anni ottanta, “meta” e affidato alle roboanti musiche da camera che sanciscono apertura e chiusura di ogni atto.