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TRAMA
Mousa, ladro di auto palestinese, si trova in difficoltà quando ruba la macchina sbagliata. Quella che pensava fosse un’auto israeliana, e un modo semplice per fare soldi nel suo campo profughi impoverito, risulta essere un carico di sfortuna quando scopre nel bagagliaio un soldato israeliano rapito da militanti palestinesi (dal pressbook).
RECENSIONI
Mousa, estraneo al conflitto tra israeliani e palestinesi, si trova coinvolto suo malgrado: rubando lauto col soldato sequestrato è automaticamente stretto tra due fuochi, da una parte i palestinesi che reclamano la pedina di scambio, dallaltra gli israeliani che ne esigono il rilascio. Così il piccolo criminale, che vivacchia tra furti e incontri con lamante, lontano dallatavico scontro, vi cade dentro: il suo coinvolgimento si offre subito come metafora complessiva della questione palestinese, tratteggiando il tentativo di guardare altrove e condurre una vita propria (onesta o illegale che sia) che viene sistematicamente frustrato dalla realtà politica delle cose. Il percorso personale si può anche abbozzare, turandosi occhi e orecchie, ma basta unazione, rubare lauto sbagliata, per subire lirrompere del problema. Siamo tutti coinvolti e non dipende da noi, sembra dire il regista, che conduce la parabola di Mousa in modo emblematico: egli cambia gradualmente posizione e tenta di approfittare della situazione chiedendo un riscatto perché, dal suo punto di vista, se il conflitto è inevitabile tanto vale piegarlo al proprio interesse. Lintreccio, sviluppato il discorso, opera una decisa deviazione sul lato intimo: ma il privato è sempre pubblico e dunque politico, allora Mousa nellincontro col marito dellamante ha interiorizzato la dinamica della guerra e la porta in casa, esercitando latto di sparare su dimensione domestica.
Primo lungometraggio di finzione di Muayad Alayan, sguardo palestinese che frequenta il grottesco e la commedia, reimpaginando stereotipi primari (lamplesso con lamante sotto il letto), Amore, furti e altri guai mantiene in trasparenza il dramma di una terra, travestito da miscela pop (i conflitti sono altri guai), ma racconta sempre la stasi di una condizione e azzarda una chiosa di speranza: alla fine, quando la radio annuncia lo scambio dei prigionieri, è festa per entrambe le parti e si affaccia lipotesi di riprendere il negoziato di pace. Allo stesso tempo, rimando (ancora) con la situazione pubblica, anche il privato del protagonista offre un quadro felice e lancia una possibile conciliazione futura. Storia evidente, dal significato esplicito puntualizzato dallo stesso Mousa, la pellicola prova una terza via tra il film dautore palestinese e la proposta accessibile e popolare: veste il bianco e nero e si mostra militante, ma genera sketch e vuole il sorriso, inscena la vicenda minimalista ma enuncia il messaggio in modo diretto. Una strada legittima, svolta correttamente ma anche chiusa in sé, limitata e autoconclusiva: lo scarto, il paradosso, la vertigine di Elia Suleiman, maestro di questo cinema, qui sono miraggi.
