TRAMA
Il proprietario di un emporio medita, assieme ad un ragazzino di colore, un colpo ai danni di un collezionista di monete. Vuole entrare nell’affare anche un suo compagno di partite d’azzardo.
RECENSIONI
Stanco dei ruoli da star hollywoodiana, Dustin Hoffman ricalca i personaggi da derelitto che l’hanno reso celebre negli anni settanta (Un Uomo da Marciapiede) affidandosi ad un testo teatrale di David Mamet del 1975 che il drammaturgo, anche sceneggiatore, non ha voluto “tradire” o mutare per la trasposizione cinematografica: il risultato è un’opera che vive fra quattro mura e “mostra” solo i dialoghi gergali da strada e gli interpreti, mentre questi ultimi mostrano solo loro stessi, girando un poco a vuoto, non mettendosi al servizio della sostanza o della claustrofobica partita a poker psicologica fra i personaggi. Il giovane regista non ha il talento di un Robert Altman (Jimmy Dean, Jimmy Dean) o di un Wayne Wang (Smoke: Franz come Keitel?) per persuadere che lo schermo televisivo non bastava ed avanzava per questo piccolo film. È, oltretutto, un testo che ha già sparso le proprie spore in opere successive di Mamet, in particolar modo La Casa dei Giochi e Americani: il tema della vita come gioco d’azzardo, in cui il destino beffardo cavalca gli incastri, i bluff e la persuasione occulta, mostrando l’uomo in tutta la sua solitudine mentre avanza la sfiducia; l’anima degli Stati Uniti identificata con gli affari, con il “grande colpo” che non è altro che il “sogno americano”, un insieme di progetti disattesi e fumose parole pronunciate dagli “avvelenatori” ai danni di soggetti influenzabili. La strada del sogno è lastricata di giovani vittime innocenti. E tutto per un nichel con l’effigie di un bufalo. Produce il regista teatrale Gregory Mosher, amico e collaboratore di Mamet.
