Biografico

AMELIA

Titolo OriginaleAmelia
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2009
Durata111'
Tratto dadai romanzi
Fotografia

TRAMA

La storia vera di Amelia Earhart, prima donna aviatrice ad attraversare l’Oceano Atlantico in solitaria e prima a tentare, nel 1937, il giro del mondo.

RECENSIONI

Una donna forte, capace di seguire con determinazione il proprio sentire, incurante di usi e costumi della sua epoca, anticonformista per natura e non per scelta. L'incontro con la regista indiana Mira Nair, anch'essa donna di carattere capace di imporsi lontano dal suo paese in una professione tradizionalmente maschile, e con un'interprete sensibile e fuori dagli schemi come Hilary Swank, sembra anticamera di un'alchimia perfetta. Aspettative lecite, quindi, purtroppo disilluse. Il problema di fondo della biografia della leggendaria pioniera americana dell'aviazione Amelia Earhart è che la Nair, più che raccontare una vita, si limita a illustrarla. Gli eventi salienti probabilmente ci sono tutti, ma sono condensati in un bignamino insipido che adotta una forma quanto mai convenzionale, il che non è per forza un demerito, mai però minimamente incisiva. Immagini patinate scivolano così nell'indifferenza passando da uno stereotipo (una passione nata nell'infanzia, e allora ecco la bambina che accarezza il grano mentre in cielo sfreccia un aeroplano) all'altro (marito e moglie si riconciliano, e li vediamo rincorrersi ridendo sulla spiaggia). Se la regia è piatta e incolore, non va meglio sul piano puramente narrativo. La storia comincia con un poco fantasioso flash forward (la tragedia è annunciata) ed è strutturata soffermandosi sugli eventi chiave della vita della Earhart, ma si arriva ad essi ogni volta impreparati ad accoglierli. Senza un prima che li renda unici e attesi, senza un dopo che ne valorizzi l'importanza e la possibile epicità. Della protagonista conosciamo solo l’ossessione per il volo, è praticamente l'argomento esclusivo di ogni dialogo (insieme a qualche battuta protofemminista), ma non come questo incide sul suo stato d'animo, sulla sua percezione del mondo. La vediamo raccontata e impegnata a raccontare, ma questo non le permette di uscire dai confini dello schermo. A meno di non considerare un bel paesaggio, due nuvole al tramonto, gli occhioni sgranati e qualche metafora spicciola, un modo per sondare l'interiorità del personaggio. Resta poi un mistero di sceneggiatura la passione del magnate dell’editoria George P. Putnam per lei, così come quella dell'amante Gene Vidal, due figure di poco spessore nonostante la loro rilevanza nell'economia del racconto. Il colpo di grazia definitivo lo danno purtroppo gli interpreti. Non tanto Richard Gere, oramai abbonato a una seconda vita artistica che lo vuole piagnone e cornuto, e nemmeno Ewan McGregor, vittima di un personaggio che non c'è, quanto la diva Hilary Swank. Come da scuola hollywoodiana punta la sua recitazione sull'aderenza fisica al personaggio, in effetti sorprendente, ma ogni volta che è in scena prevale il grottesco e in più di un'occasione non si evita uno stridente effetto parodia. I fotogrammi finali, tratti da immagini di repertorio, mostrano la vera Earhart e ripercorrono la sua vita lasciando trasparire l'accurato lavoro di ricerca e ricostruzione alla base del film. Come sovente accade, però, sono gli unici, insieme ad alcuni momenti dell'ultimo volo della protagonista, a trasmettere una qualche emozione. Il che la dice lunga sul fallimento complessivo dell'operazione.