Drammatico, Recensione

ALZA LA TESTA

TRAMA

Mero, ex pugile, allena suo figlio tutti i giorni: lo sottopone a training sfiancanti, vuole che diventi un campione…

RECENSIONI

Parabola di realizzazione sportiva, film italiano a dramma famigliare, confronto umano su sfondo sociale. Sono queste le grandi false piste che compongono Alza la testa, nuovo film di Alessandro Angelini, temprato dalla dote critica ricevuta per L'aria salata. La prima sensazione è quella di una sconcertante 'pienezza'. Poche volte, infatti, si è visto un prodotto nazionale tanto carico di temi e suggestioni, eccoli in ordine di apparizione: le aspettative dei padri sui figli, l'interesse negli ambienti sportivi, la morte dei propri cari, l'elaborazione del lutto, il confronto con il diverso, la transessualità, la sostituzione del figlio scomparso, il traffico di uomini. Dinanzi a una mole del genere, declinata in meno di 90 minuti, inevitabilmente, nulla può prevalere - tutte le piste restano false -, presentandosi invece una complessa coniugazione di queste, a volte compatta, altre scollata e disomogenea. Ma non da respingere. Andiamo con ordine.
Pista 1: Mero e Lorenzo, padre e figlio, vivono soli, lasciando subito intendere un'assenza, il vuoto femminile (una madre/moglie che si manifesterà dopo) che va riempito, forse, con la realizzazione della prole, quindi di sé. Lo scenario domestico, in breve, svela un meccanismo in atto di sostituzioni, parallelismi e riempimento dei 'buchi': il successo di Lorenzo riscatterà Mero dal mediocre passato di pugile (vittoria figlio sostituisce sconfitta padre), ma lo ripagherà anche dal fallimento coniugale (vittoria figlio sostituisce assenza moglie), Lorenzo comincia la carriera da boxeur e si accende la fiamma sentimentale (primi passi parallelo a primo amore), vincendo risanerà la spaccatura tra i genitori (vittoria figlio riempie assenza madre). Insomma, una tipica 'realizzazione sportiva'.
Prima svolta: Lorenzo cade dal motorino.
Pista 2: Il lutto. Assume gradualmente carattere permanente, non finirà: da qui parte un film-lutto, fino all'ultimo, e inizia lo one man show di Sergio Castellitto. Scomparsa la giovane spalla attoriale (Gabriele Campanelli), l'attore romano risolve positivamente il capitolo italiano più infuocato degli ultimi dieci anni: la crisi famigliare e (per) l'incontro con la morte. Nel terreno dove si sono feriti molti - anche grandi, inutili elencare: per tutti Moretti, La stanza del figlio -, il film si chiude nel silenzio: scegliendo la strada introspettiva, non vuole esplicitare il dolore e, seppure sbagliando alcuni punti drammatici assai sbalestrati (l'intervento dell'ex moglie), pone un'altra questione, la donazione degli organi. Concedere o meno il cuore del proprio figlio? Su questo dilemma base, deviando l'attenzione dal fatto del decesso verso una dimensione più sentimentale astratta, si tratteggia faticosamente una drammaturgia compiuta.
Seconda svolta: Mero ottiene il nome del 'ricevente'.
Pista 3: Tutto cambia. Sparito il protagonista, esaurita la parte ospedaliera, entra in scena Sonia (una credibile Anita Kravos) e arriva un altro film. L'ultima fase, la più lunga e strutturata, rievoca il carattere dardenniano del regista: Angelini, finora corretto e trattenuto, ruba la macchina da presa dei fratelli belgi e si lancia in pedinamenti estemporanei - il migliore riguarda Mero -, soggettive traballanti, inquadrature sporche, primi piani a rimbalzo Mero/Sonia e viceversa. Il momento migliore, a livello di stile, inchioda brutalmente il senso del discorso; a zoppicare è la tenuta della scrittura, dove si affacciano le prime, uniche scene urlate (Sonia: 'La vita la prendi come arriva!'...) e l'estenuante confronto tra i due (ex pugile contro trans, vari strati di sofferenza) rischia seriamente l'incartamento: salvo poi avvitarsi, deviare ancora l'attenzione (il traffico di migranti) per arrivare alla singolare catarsi finale, stavolta affidata alla sublimazione (lutto/rabbia valorizzati dal risveglio donna in coma).
Troppa carne al fuoco? Sicuramente sì. In un film che gioca molto di corrispondenza, infatti, data la vastità delle materie considerate, facile è perdersi o tendere al raccordo più scontato: moglie padre/ragazza figlio, morte proprio figlio/nuova nascita (del figlio di un'altra), così via. Inoltre Alza la testa, in tutto questo rimestare, resta sempre la storia di un uomo che cambia (Mero 'migliora' riponendo il passato drammatico) e il sospetto della tesi in ultima istanza non viene respinto. Tuttavia, Angelini non si lascia intimidire: ponendo dei presupposti, e poi smentendoli, effettua addirittura due cambi di film e un cambio di co-protagonista, insomma va sempre da un'altra parte rispetto alla linea tracciata. Programmando lo script, ma anche girando con spontaneità, basato su un efficace occhio di strada (l'inizio in romanesco), non ha paura di affrontare una valanga di Temi, anche per sola allusione. Meglio tanti che nessuno.