TRAMA
“Cosa siamo, turchi o tedeschi?”. Il piccolo Cenk chiede di conoscere la storia della sua famiglia.
RECENSIONI
Le sorelle Yasemin e Nesrin Samdereli (l’una regista, l’altra co-sceneggiatrice), raccogliendo elementi biografici dalla storia della loro famiglia, firmano un racconto migratorio in forma di commedia: Huseyin ha varcato la linea tra Turchia e Germania negli anni ’60 e adesso, nell’ultima stagione della vita, la ripercorre a ritroso con i famigliari, alla ricerca del legame con il suo paese indebolito nella seconda generazione e con l’affacciarsi della terza (il giovane Cenk). Nel frattempo, nell’arco di quaranta anni in Germania è compiuta la costruzione della nuova società turco-tedesca: oggi l’unione tra popoli diversi non si ferma (ad esempio tedeschi/inglesi), il melting pot è potenzialmente infinito e muove verso una comunità babelica e multietnica. In questo contesto, l’avvenuta integrazione è chiamata a conservare la memoria del proprio passato; il ruolo di Huseyin, “custode delle radici”, viene tramandato da nonno in nipote e il film è il loro passaggio di testimone, come sottolinea la metafora circolare della cartina geografica che unisce l’inizio e il finale.
Sorta di prequel del cinema turco trapiantato in Germania degli ultimi anni (Huseyin e Fatma potrebbero essere i genitori del Cahit de La sposa turca, immigrato di seconda generazione), Almanya è incentrato sull’idea di confine: quello presente/passato, ovviamente, che si riflette nel confine narrativo tempo attuale/flashback, continuamente travalicato dalla regista. Se l’impianto della pellicola si gioca sul doppio piano, tanti sono i ricorsi anche nei luoghi e situazioni: la gravidanza di Canan oggi come quella della nonna ieri, i fratelli adulti che dividono il letto come da bambini... E’ così che lo svolgimento tocca le stazioni tipiche della saga famigliare: dal dilemma tra origini e modernità fino ai dissidi interni, dalla solitudine al divorzio, mantenendo sempre il registro comico per stemperare le curve più drammatiche. Ironia leggibile e immediata (popolare, direbbero alcuni), quella delle autrici, basata soprattutto sullo “stupore”: quello dell’emigrazione in Germania, dove tutto è particolare e meraviglioso (flashback), e quello della riscoperta, che guardando all’indietro ritrova verità sepolte e paradossali (presente). Se da una parte la scelta suona articolata e compiuta (il sogno di Huseyin sulla “germanizzazione” dei turchi), dall’altra si affida alla comicità più facile ed episodica (il figlio che vomita cibo arabo).
Con la scomparsa del capofamiglia, preannunciata da segnali evidenti, Almanya vira poi verso il funeral movie per assicurare degna sepoltura alla prima generazione, siglando dunque il passaggio. Storia di una famiglia non atipica ma tradizionale, ovvero che recupera la tradizione, questione privata e insieme complessiva sui movimenti europei del Novecento, quella di Samdereli è un’opera chiara e coerente nell’impianto, ma non altrettanto nel risultato. Puntellata da voce off spesso superflua che spiega l’evidenza, la pellicola non ha la stessa compattezza a livello stilistico: dopo lo scoppiettante incipit, culminante nel piano sequenza della torta portata da Cenk, sia la regia che la sceneggiatura sembrano lentamente spegnersi, soprattutto nella seconda parte e nella conclusione, dove il tema identitario diventa tanto predominante da oscurare l’architettura. Anche le suggestioni in potenza più ricche (l’incontro impossibile tra figure del presente e passato) restano sulla carta, preferendo coltivare soluzioni più rassicuranti e stereotipate appena screziate dall’ombra della morte. Come spesso accade nelle vicende più intime, le Samdereli estinguono il loro debito personale e suonano meno incisive verso l’esterno, nell’apertura al pubblico universale.