Drammatico

ALL INCLUSIVE

Titolo OriginaleAll Inclusive
NazioneItalia
Anno Produzione2010
Durata75'
Fotografia
Montaggio
Costumi

TRAMA

Con l’approssimarsi della nuova stagione l’hotel Joule è in riorganizzazione e lo staff si completa con l’assunzione di un giovane direttore, Miss Ambra. Piena di aspettative, la donna accoglie l’impegno a coronamento delle sue ambizioni e si dedica con entusiasmo ai preparativi per l’imminente inaugurazione. Il lavoro di squadra viene premiato, con soddisfazione di tutti. Miss Ambra, pienamente calata nella parte, non si concede alcuno svago assolvendo al suo incarico con rigore e alterigia. A lungo andare, però, l’intransigenza e l’ossessivo perfezionismo con cui Miss Ambra esercita le proprie funzioni, oltre ad alienarle la simpatia dei colleghi, la portano a voler assumere su di sé le mansioni dell’intero albergo, fino a perdere i confini della propria identità, a confondere il proprio ruolo con quello dei collaboratori, a desiderare di sostituirsi loro, spinta da e verso un vuoto incolmabile.

RECENSIONI


In conferenza stampa, al Festival di Venezia, David Zamagni spiega che lui e la co-regista Nadia Ranocchi non hanno scritto e diretto il film pensando a un pubblico, semmai, ha aggiunto, “è il pubblico che deve pensare a noi”. Il punto di vista è comprensibile, l’arte e la voglia di esprimersi non devono cedere ai condizionamenti esterni mantenendo, invece, una purezza di sguardo. Il rischio, però, è quello di trovarsi collocati in un festival internazionale, in mezzo a tanti altri film, senza che la propria opera sia in grado, decontestualizzata, di comunicare ciò che è nelle intenzioni. Ben vengano, quindi, gli incontri con il pubblico e la stampa per spiegare, come in questo caso, le ragioni sperimentali del progetto, la voglia di utilizzare un linguaggio alternativo per verificare la validità di nuove forme espressive. Un’opera, però, dovrebbe essere anche in grado di parlare da sola. Accade invece che All Inclusive stanchi subito, a causa di un soggetto che non pare avere molte frecce al suo arco: quando la dedizione al proprio lavoro diventa maniacale, si rischiano di perdere per strada le vere priorità. È quello che succede al nuovo direttore di un grande albergo, il cui ossessivo perfezionismo sfocia nella pulsione omicida. Il dramma della protagonista trova la forma del bianco e nero tridimensionale. Un utilizzo della tecnica stereoscopica che confuta le regole del mercato prediligendo il fuori fuoco, per cui la macchina da presa viene collocata in modo da mantenere all’interno di ogni sequenza sempre la stessa distanza. Sono gli oggetti e i personaggi che, a seconda di dove sono collocati all’interno dell’inquadratura, creano differenti profondità di campo. Alcune immagini si lasciano apprezzare per la loro bellezza (la tromba delle scale, la scena del ballo) ed è questo, insieme alla cura per i dettagli sonori, l’aspetto più interessante dell’opera. Nel momento in cui si mette in scena un personaggio e lo si fa interagire con l’ambiente abbozzando una progressione, però, si creano inevitabilmente aspettative la cui disattesa, per forza di cose, non premia il risultato. Anche perché 75 minuti di sperimentazione sono inevitabilmente lunghi.