TRAMA
Cassius Clay guadagna il titolo dei pesi massimi sconfiggendo Sonny Liston, si avvicina, attraverso Malcolm X, alla “Nation of Islam” e ripudia il suo nome, divenendo Muhammad Ali. Renitente alla leva per il Vietnam viene processato, in fine assolto e riconquista la cintura dopo aver battuto Joe Fazier e George Foreman, quest’ultimo a Kinshasa.
RECENSIONI
Il non-biopic di Mann si sviluppa nelle strade della Storia: due corse di Clay/Ali stringono dieci anni di vita e di vicende, dal 1964 al '74, due suite musicali [A. Borri] delineano e presentano le possibilità emozionali e vitali di ambienti e temporalità in un'evoluzione che istante per istante si stritola in meccanismi vieppiù occulti.
Non una semplice dialettica d'opposti bensì una trasfigurazione d'essa attraverso la profondità di ri-presentazione, la poetica di Mann si sviluppa ulteriormente: con Thief (Strade Violente, 1981), Manhunter (Manhunter - Frammenti di un omicidio, 1986), Heat (id., 1995), The Insider (Insider - Dietro la verità, 1999) si delineava già un progresso di messa-in-esistenza, la cura del dettaglio fattuale ed umano si andava tingendo delle forme della realtà, della radice d'essa, degli uomini, l'ultimo in ordine di tempo essendo tratto da una storia vera, con veri uomini in campo, ancora una volta il genere, ancora una volta il pretesto.
Con "Ali" la formalizzazione e cristallizzazione della memoria assumono aspetti tali da mettere in discussione lo stesso statuto dell'opera: lo schermo non è più una protezione, un distanziamento ma membrana d'osmosi, passaggio di sentire tra opera (con l'/sull'uomo) e spettatore.
La ricostruzione delle location operata dall'equipe di Mann propone, oltre allo sbriciolamento della stanzialità da studio, vera e propria presentificazione di un mondo: l'uso - per la prima volta - del digitale, nelle scene notturne, la macchina a mano nervosa ed ondeggiante, il particolare sistema di microcamere per i combattimenti (i più belli mai visti), sono strutture che si insinuano nel passato per una reviviscenza documentaristica. Il dettaglio, appunto, viene scoperto e "assolutizzato", si carica di valenze ideologico-poetiche ma permane nella sua condizione di pura stasi, è nel presente filmico in quanto tale ed è nel passato storico, continuando, contemporaneamente, ad essere parcella di una struttura meditata.
Un solo passo nell'indagine della densità che emana quest'insieme finito (per quanto duraturo) che spinge i limiti della percezione al di là della suggestione del momento in cui ogni immagine, tassello interiormente legato, si giustifica in una varietà di spettri significanti da consegnare non solo l'ambiguità del mondo (realtà non verità), ma pure le dimensioni di percezione dell'uomo su di esso e sulla dominatrice Storia: padrona che nella dialettica può essere creatrice di nuove condizioni di consapevolezza; la pedagogia morale dell'eroe manniano. Due sono gli esempi sommi in "Ali". Per prima, la sequenza del litigio tra Cassius Clay, sr e junior in cui la m.d.p. segue il protagonista che rientra in casa ma, con morbido movimento di steadycam, scopre l'interno dell'abitazione di Malcolm X, una continuità visiva che è sentimental-umana: collegare due difficoltà sociali e familiari in un parallelo che instaura un legame di "nido". La seconda è quella del tunnel della metropolitana, con la macchina a mano appiccicata ad Ali, una semisoggettiva a retrocedere mostra una condizione isolamento radicale in campo bianco, solo l'uscita del treno alla luce della notte porta i colori, non solo abbacinante bellezza dell'istante (che ognuno può cogliere) ma questa finalizzata ad esprimere la condizione interiore dello stesso protagonista, i suoi istanti di solitudine in cui la scelta si matura, è l'entrata nel mondo della percezione quotidiana a smascherare le direttive di sviluppo future.
Frantumi di vita connessi da Muhammad Ali, come nella scena iniziale di allenamento al palloncino, vettore del senso di un periodo in cui egli diviene simbolo e simbolizzante: ogni suo atteggiamento (il taglio di capelli), ogni sua azione (la renitenza) sentiti intimamente vengono inoltre assunti ad un livello superiore, quello sociale e politico dei musulmani neri (il toccante rapporto con Malcolm X (Van Peebles)) e quello derivante dall'opinione pubblica (una non-opinione, in definitiva).
Mann focalizza il senso di dovere ed appartenenza del pugile, la sua volontà (Kunstwollen del regista, di "vita" in Ali) in una stretta di fatica ed ostacoli spossanti, le donne (altre figura manniane per eccellenza) ed il rapporto con esse sbriciolato in estasi (drammatiche), esempi della microtemporalità pura che scorre per l'intero film, schiacciate da una direttiva morale a loro invisibile: il sorriso si fonde alle lacrime, nei momenti meno attesi, il ralenti a spingere l'atto nel sentire, la corsa a Kinshasa come momentaneo traguardo in cui, labilmente, il futuro campione si confronta con la propria figura, col proprio desiderio.
Ampi stralci della seconda parte si rifanno a "When We Were Kings", documentario di Leon Gast, come sintesi somma del Mann style in cui la vita è sostanza di confronto.
Menzione meritano le figure di Howard Cosell (Jon Voight con un'interpretazione d'aderenza perfetta, come quella di Smith d'altronde) e "Bundini" Brown (Jamie Foxx); per la prima volta la fotografia è di Emmanuel Lubezky (invece di Spinotti) ed al montaggio manca Dov Hoenig. Mann sa dove puntare e non sbaglia ma calibra ogni briciolo con intelligenza ed acume: piu' della vita ma grande come la vita.
Non fare la morale ma essere morali.
