TRAMA
Finito un film, il regista va alla ricerca del suo prossimo soggetto. Nel frattempo, due amanti non s’incontrano mai, altri due non fanno che litigare, una ragazza racconta al regista di aver ucciso il padre, un’altra pronuncerà i voti a dispetto di chi la ama.
RECENSIONI
Riportare il vecchio maestro Antonioni dietro la macchina da presa (colpito da un ictus nel 1983) era lo scopo principale di Wim Wenders. L'italiano dirige il prologo, l’intermezzo e l’epilogo con John Malkovich come suo alter-ego e guida fra quattro piccoli racconti d'incomunicabilità amorosa, uno identico all'altro (non fosse per le location: Ferrara, Portofino, Parigi e Aix-en-Provence) e tratti dal volume "Quel bowling sul Tevere" dello stesso Antonioni. L’autore di Blow - Up ha diretto semi-paralizzato e chiede anche al pubblico di chiudere gli occhi sulle banalità e i terribili dialoghi di Tonino Guerra, nella speranza di far lievitare l’opera in un suadente limbo poetico. Lo sguardo rapisce la (le) macchine da presa: le fotostatiche di paesaggi postmoderni e di una stregata Ferrara immersa nella nebbia sono accompagnate dalle musiche per pianoforte e dagli incontri di sguardi, dai corpi nudi, giovani e belli. Cinema vuoto, con stile, che frana sulla parola debordante, con espressioni pseudo-filosofiche e finto-intelligenti, battute più stupide che volutamente fuori del Tempo e dallo Spazio. Wenders e Antonioni riescono ad andare al di là delle nuvole, verso l'astratto, solo (vedi la prima sequenza) con un aeroplano meccanico. Qui, da loro, sulla Terra, non si è artisti ma ci si fa, si progettano le ali di Icaro e si finisce in coda all’aeroporto. Altro che riflessione sul mestiere del regista e sull’immagine. Con un pedigree autorale senza spessore, ricorda Identificazione di una Donna. Irene Jacob è, di per sé, una visione celestiale.