TRAMA
Un detenuto condannato per omicidio ottiene, dopo quindici anni di reclusione, un permesso di un giorno per buona condotta. Ad attenderlo c’è l’incontro col figlio poco più che quindicenne che non vede da quando è chiuso in carcere.
RECENSIONI
Non è tutto Corea quel che luccica
Allora, Jang Jin è un valente sceneggiatore che ha nel suo repertorio uno script spaccabotteghino come Welcome to Dongmagkol e uno stimato regista autore di apprezzate pellicole quali Guns and Talks e Righteous Ties. Purtroppo con Adeul sbaglia tutto: tonalità, ritmo, variazioni di timbro e twist narrativi. Il patetismo è ai massimi livelli fin dalle prime battute (ma perché mai noi dovremmo appassionarci a questa vicenda non è dato sapere), la progressione drammatica non ingrana mai (male, molto male per un film che dovrebbe far venire il groppo in gola), l’alternanza tra realismo e voli pindarici sembra piovuta direttamente da un film Disney (con le oche parlanti come simboli della famiglia!) e il colpo di scena del prefinale fa tanto scalpore quanta pena (altri drammi, altri piagnistei). Un disastro su tutta la linea, insomma. Se a questo aggiungiamo una quantità “bigfishiana” di finali (in effetti a tutt’oggi è Big Fish a detenere il record mondiale di finali) e un litraggio di lacrime altrettanto importante, non resta che qualificare My Son come una pellicola semplicemente indifendibile. In fede nostra, ecco fatto.
