TRAMA
La sera del 4 novembre 1911 avvengono fenomeni strani a Parigi. In cielo vola uno pterodattilo e la vettura di un’importante figura politica finisce nella Senna. Questa serie di eventi è misteriosamente collegata ad Adèle Blanc-Sec, intrepida avventuriera e scrittrice di romanzi d’appendice, che in quel momento si trova in Egitto per recuperare il sarcofago contenente la mummia di un importante medico alla corte del faraone.
RECENSIONI
Si dice che un regista, soprattutto se con riconosciuta personalità, finisca per girare sempre lo stesso film. Adele e l’enigma del faraone sembra confermare tale ipotesi. Mescola, infatti, come Luc Besson ci ha oramai abituati, immaginari (la preistoria con la Parigi di inizio ‘900), generi (fantasy, avventura e fantascienza con una spruzzata di mistery, un accenno di noir e un collante di commedia) e sensibilità (la spettacolarità ricorda le produzioni d’oltreoceano ma il racconto è saldamente ancorato all’Europa). Pone, inoltre, al centro della storia l’ennesima eroina, ancora una volta anticonvenzionale, bella e invincibile. La protagonista viene dalle pagine della serie a fumetti Le straordinarie avventure di Adèle Blanc-Sec, ideata nel 1976 dall'autore francese Jacques Tardi, ed è una scrittrice e giornalista, ma soprattutto avventuriera, sempre alla ricerca di nuove ispirazioni per i suoi scritti e di una cura per la sorella, della cui infermità si ritiene responsabile. Il tutto nella Parigi della Belle Epoque, dove il progresso è in pieno fermento, il consumismo dilaga, i caffè pullulano di intellettuali e nei cabaret è tutto un can-can. L’atmosfera di scoppiettante vitalità, abilmente ricreata grazie alla perizia scenografica, connota bene il contesto in cui si muovono i personaggi, pedine di una trama un po’ scombiccherata che la sceneggiatura prova a rivestire di interesse. Ci riesce solo in parte perché, se la vicenda fatica un po’ a ingranare ma poi scivola leggera senza prendersi troppo sul serio, non riesce però a trovare un equilibrio tra le diverse anime che la compongono.
Come spesso accade con Besson, la contaminazione produce un ibrido che corre a briglia sciolta in encomiabile libertà creativa, ma si dimentica di decidere a chi rivolgersi, per cui l’intrigo finisce per essere troppo complicato per i più piccoli (ma eccessivamente puerile per i più grandi) e le incursioni pseudo horror troppo blande per gli adulti (ma un po’ fuori luogo per i piccini). L’umorismo di grana grossa, a volte grossissima, è invece poco irresistibile per tutti. Si procede quindi a intermittenza, con personaggi che funzionano (l’imperturbabilità della protagonista, la simpatica gigioneria dell’ispettore interpretato da Gilles Lellouche, l’ironia della mummia risvegliata Patmosis) e altri meno (il cattivo Dieuleveult, dietro cui si cela abbastanza inutilmente un irriconoscibile Mathieu Amalric, e quasi tutti gli altri, ridotti per lo più a macchiette gesticolanti). Lo stesso dicasi per le situazioni, brillanti (il risveglio delle mummie al Louvre) ma anche prevedibili (la parentesi archeologica alla Indiana Jones ambientata in Egitto). Lanciato come primo capitolo di un’ideale trilogia, lascia supporre nel finale sul Titanic un seguito che in realtà non è mai arrivato: troppo dispendioso il budget (30 milioni di euro), troppo parziale il riscontro (solo gli spettatori francesi hanno risposto con discreto entusiasmo). A differenza di precedenti attrici che hanno lavorato con Luc Besson, Louise Bourgoin non è diventata una star internazionale.
Dopo la saga dei Minimei, ancora fantasy alla ricerca di serialità per Luc Besson: adatta i fumetti-feuilleton di Jacques Tardi, usciti in nove volumi a partire dal 1976 (prende spunto da “Adèle et la bête”, con lo pterodattilo, e da “Momies en folie”), intrisi di Belle Époque e avventure chimeriche. Ma il modello, più che Tardi, è l’amato Steven Spielberg, con Indiana Jones virato alla propria poetica che, puntando sulle eroine, ha spianato la strada artistica ad attrici-corpi notevoli (Louise Bourgoin è seducente e convincente: la colonna portante del film). A non rientrare negli stilemi spielberghiani sono il connubio/dosaggio di avventura epica e commedia: Besson devia tutto in caricatura, in un universo grottesco di personaggi sciocchi, ad eccezione della protagonista (già donna “indipendente” negli originali, ancor più “tosta” con Besson). La comicità non funziona molto, sia di per sé stessa (come scelta nel contesto) sia quando affidata a gag usurate (vedi gli ordini impartiti con gerarchia a cascata, dal presidente al povero ispettore), ma la trama presa a prestito da Tardi è sufficientemente bizzarra e sorprendente e Besson filma e scrive in modo che il ritmo non abbia tempi morti, rendendo ricco (molto più dell’originale) il piatto di eventi, divertimenti, personaggi e situazioni fanta-curiose. Del fumettista, inoltre, preserva (a parte un tiepido eros, con Bourgoin che si denuda davanti alla mummia o mostra il corpo nella vasca) quel gusto al contempo macabro e ilare di certe scene (la paralisi della sorella, la morte del boia, ad esempio), stagliando il prodotto nel cinema di genere, pur con tutti i suoi limiti commerciali (il fumetto aveva qualche ambizione in più). Un’opera che ispira simpatia più per i morti viventi (lo pterodattilo, le mummie bontempone) che per i vivi (fra cui un irriconoscibile Mathieu Amalric).