Commedia, Fantastico, Sala

ABRACADABRA

Titolo OriginaleAbracadabra
NazioneSpagna
Anno Produzione2017
Durata96'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Carmen vive nella periferia di Madrid con suo marito, tifoso del Real Madrid, e la figlia adolescente. Una domenica, proprio il giorno in cui gioca la squadra del cuore di Carlos, la famiglia partecipa ad un banchetto di matrimonio. Durante il banchetto il cugino di Carmen, Pepe, improvvisa per i partecipanti un numero di ipnotismo…

RECENSIONI

Comincia male, malissimo Abracadabra di Pablo Berger: l’impressione è di assistere a una sciatta commediola, tanto nei contenuti quanto nella forma; al tentativo di riproporre, mancandone lo slancio vitalistico, l’iperbolico cattivo gusto del primissimo Almodóvar (la differenza è tutta nello sguardo: mentre il primo adopera la pacchianeria dei suoi personaggi con intenti giudicanti, il secondo la celebrava come cifra stilistica in quanto lui stesso ne era immerso fino al midollo). Un’ipotesi viziata dal precedente progetto del regista, Blancanieves, che, al di là del risultato, metteva in evidenza lo sguardo derivativo di Berger. E Abracadabra conferma senz’altro questo aspetto: come nei lavori del connazionale e quasi coetaneo Álex de la Iglesia, siamo di fronte a un film che procede a rimorchio, fatto di continui rimandi, dall’identità molteplice (e il rischio, quando si vuole somigliare a troppe cose, è di smarrirsi del tutto). Qui però l’accumulo caotico e sgangherato di registri e sottotrame invece di penalizzare il film gli dà modo di aprirsi verso orizzonti imprevisti.

E quindi quella che all’apparenza era sembrata un’innocua e stanca deformazione grottesca di squallore parentale (la versione spagnola della famiglia coatta ritratta da Paolo Virzì in Ferie d’agosto), con l’irrompere della magia (per mezzo di un improbabile numero di ipnosi eseguito nel corso di un banchetto nuziale in perfetto stile Casamonica) poco a poco lascia affiorare spettri di inaudita violenza domestica: nel corpo di Carlos, padre non presente, marito mancante e gruista devoto al Real Madrid (a tal punto da partecipare al matrimonio dei parenti con infilata nell’orecchio, pur di seguire gli esiti della partita contro il Barça, un’auricolare di fantozziana memoria) si installa a vivere il fantasma di uno schizofrenico assassino seriale, morto suicida nel 1983, dopo aver asportata la testa alla madre e accoltellato sette persone in un ristorante. Paradossalmente lo spettro trasforma Carlos nel genitore e nel compagno che chiunque desidererebbe avere affianco. Ma a sua moglie Carmen la metamorfosi non convince e preferisce indagare.
A questo punto la commedia comincia a sporcarsi di nero, virando su tinte di Profondo rosso (la sequenza del finto filmato di repertorio con le immagini a bassa risoluzione tipiche dell’home movies che mostrano la mattanza dell’assassino è sicuramente il momento più riuscito del film, quello che rimane al termine della visione), peccato però che Berger non ceda, quanto potrebbe, al richiamo di queste nuances. Forse, invece di tenersi a freno, avrebbe dovuto seguire il richiamo delle sensazioni forti tipico di de la Iglesia, concentrarsi di più sulla possessione Carlos invece che sul percorso di emancipazione della moglie. Peccato, ma comunque meno peggio del previsto.