Recensione, Sperimentale

A ÚLTIMA VEZ QUE VI MACAU

Titolo OriginaleA Ultima Vez Que Vi Macau
NazioneFrancia/Portogallo/Macao
Anno Produzione2012
Durata85'

TRAMA

“Dopo 30 anni sono diretto a Macao, dove non torno da quando ero bambino. Ho ricevuto una mail da Candy, un’amica che non sento da tanto. Mi dice che si è di nuovo immischiata con le persone sbagliate. È in pericolo e mi chiede di raggiungerla”.(dal catalogo del TFF)

RECENSIONI

Seguito del cortometraggio Alvorada vermelha, altra ricerca di storie e altra perdizione a Macao, A ùltima vez que vi Macau brilla delle luci del cinema contemporaneo, rifrange le sue certe tendenze, puro oggetto d'accecante presenza al proprio tempo. Sinfonia urbana su cui si poggia la voce fuori campo di un noir, di un hard boiled che doppia le immagini di Macao, il film di João Pedro Rodrigues e João Rui Guerra da Mata è cinema del reale reinventato, affastellarsi di scorci, piazze, quinte, palcoscenici di una città ricondotti a una narrazione evocata, costantemente fuori campo. Il protagonista non compare, c'è solo Macao di fronte ai nostri occhi: la voce di Guerra da Mata ci guida, ci incanala in una storia tra le molteplici possibili, scegliendo precisamente una storia di scomparsa, di nostalgia, una storia, infine, di Fine. E dunque una delle storie che l'oggi tende a raccontare. All'epoca del digitale c'è l'urgenza paradossale di un legame con il reale e, insieme, la necessità di un'appropriazione in prima persona (che è lì, nella voce del regista), c'è il qui e l'ora, l'eterno presente immersivo della contemporaneità e la saudade lacerante del passato. Ovvero la nostalgia di Macao com'era ai tempi della colonia portoghese, ma anche la nostalgia per il cinema che fu, per le sue storie, per i nessi causali che le strutturavano: per Sternberg, certo, e per il noir, ad esempio, sulle cui traiettorie Guerra da Mata riorganizza i residui di narrazione, quel poco che è riuscito a spremere dal paesaggio. Ma è proprio la proliferazione dei punti di vista, l'accumulo delle storie possibili a trasformare il romanzo nero, detto dalle parole, in una narrazione paranoica, che corre verso la scomparsa, l'annullamento: il protagonista non riesce a capire, non riesce a domare l'eccesso del reale, a raccontarlo, ad addomesticarlo alle sue misere possibilità interpretative. Ne conseguono - sempre in memoria del delitto perfetto, sempre in memoria di quella sensazione devastante di soppressione del vero in favore di un simulacro (digitale), di un'altra e inattingibile verità - le forme oggi onnipresenti del complottismo (come in Cosmopolis, ad esempio), il riemergere continuo dei fantasmi (si pensi al cinema di Weerasethakul, a Twixt, a Lynch e via elencando). E quel senso di annichilimento, il sentimento dell'apocalisse che è, abbracciato a quella della Crisi Economica, la vera grande narrazione del cinema contemporaneo. A ùltima vez que vi Macau, primo lungometraggio codiretto da Rodrigues con l'abituale collaboratore (alla scenografia, ai costumi, alla sceneggiatura) Guerra da Mata (dopo i corti China China, Alvorada vermelha e prima di O que arde cura), è il controcanto nonfiction al Tabu di Miguel Gomes, una sublime escresenza del Sans Soleil di Chris Marker, la conferma della vitale resistenza del cinema portoghese oggi, da Joao Nicolau a Joao Canijo, sino ovviamente ai monumenti Pedro Costa, Joao Botelho, Manoel DeOliveira. Presentato a Locarno (menzione della Giuria presieduta da Apichatpong Weerasethakul allo «straordinario personaggio Candy per la sua forte presenza attraverso l'assenza, che risuona per la giuria come la dimostrazione dell'immenso coraggio del cinema portoghese in un periodo nel quale gli insuccessi dei governi e dei sistemi sociali minacciano l'arte cinematografica»), in concorso a Filmmaker e vincitore del TFF Doc 2012.