TRAMA
Wilhelm Furtwangler, direttore d’orchestra tedesco, il più importante del suo tempo, dopo la fine del secondo conflitto mondiale viene interrogato dal Comitato Americano per la Denazificazione perché spieghi i suoi rapporti con il Reich.
RECENSIONI
L'arte è un'attenuante? Un interrogativo che ben sintetizza la problematica sottesa al film di Szabò: posta la levatura del Furtwangler musicista, possiamo vedere in essa (come sembrano suggerire il giovane ufficiale e la segretaria che seguono gli interrogatori) la giustificazione a un suo atteggiamento non proprio cristallino nei confronti di una crudele dittatura che lo sedusse in tutti i modi, invitandolo anche a espatriare di fronte al suo rifiuto di appoggiarla incondizionatamente? Insomma: ragioni dell'Arte contro ragioni dell'Etica e i favori del giudizio, che sembrano inizialmente pendere dalla parte dell'artista, sorta di simbolo inglobato in un meccanismo gigantesco che lo schiaccia piegandolo alle sue esigenze, pian piano cambiano segno, di fronte all'atteggiamento dell'uomo di sospetta rassegnazione e di ottusa presunzione (sono un artista vero e questo basta a giustificarmi, sembra voler dire), e a scritti di chiara matrice antisemita. La Storia ci dice che venne assolto e poté riprendere la sua attività. Rimane il dubbio: era, come tanti altri, una semplice vittima delle circostanze? Il film non dà ovviamente alcuna risposta puntando l'attenzione sul braccio di ferro tra il "cattivo maggiore" Keitel e il raffinato musicista Skarsgard, disfida che si acutizza sull'esiziale punto: il popolo tedesco sapeva cosa si stava consumando nei campi di concentramento?
Szabò (più che un autore un'esclamazione), tanto per far discorsi razzisti, fa parte di quella schiera di registi(ni) (certi Pal Sàndor, quasi tutto Bille August, qualche Schlondorff e via coproducendo) che campicchia su questi ibridi insipienti che accumulano starlette, poveri sfigati, attori già famosi riscattati dal limbo della retrocessione o stelle vere in vacanza premio, e che abbagliano per la loro scintillante pochezza (nel migliore dei casi) o per la loro magniloquente pesantezza (nei peggiori). La fama di questo regista è legata soprattutto alla pomposa (e alquanto sopravvalutata) trilogia MEPHISTO IL COLONNELLO REDL LA NOTTE DEI MAGHI (ma DOLCE EMMA, CARA BOBE, per quanto inferiore a quel che se n'è detto, è, tra i suoi ultimi, il titolo forte) e a, diocenescampieliberi, l'inguardabile TENTAZIONE DI VENERE. In questo senso A TORTO O A RAGIONE si rivela, nel subgenere citato (guazzabuglio produttivo in cui più ci si mette più ci si trova), migliore del previsto, merito, certamente, della sua origine teatrale che favorisce una certa rigorosità di stile e che permette al regista di tenere a bada la consueta sbracatezza di tratto. Detto ciò va però aggiunto che il film non va oltre una pedissequa trasposizione di un testo piuttosto pallosetto, che vorrebbe giocare con l'ambiguità ma che naufraga nelle sue ondate di chiacchiere sull'andante (appena mosso) di un campocontrocampo. Rimane la prima scena, piuttosto seducente, nella sala da concerto, mentre le bombe cominciano a esplodere, con carrelli pregevoli che ci dicono del solido mestiere dell'ungherese; a parte questo lampo non un brivido, non una parvenza di coinvolgimento. Domina su tutto una (programmatica?) mancanza di guizzi, niente appassiona davvero, neanche il tentativo di definire al meglio la figura del maggiore (un Keitel che smacchietta malamente), requisitore bastardo dentro e impassibile nel suo combattere contro il rimos(r)so di una Nazione.
Nella Germania del 1945, subito dopo la caduta del nazismo, un ufficiale dell'esercito americano ha il compito di trovare le connivenze tra l'illustre direttore d'orchestra Wilhelm Furtwangler e il regime di Hitler. Il film di Istvan Szabo e' tutto giocato sul confronto tra i due uomini: da una parte la concretezza di una ricerca meticolosa che aspira a rendere giustizia alle stragi naziste, dall'altra l'irrazionalita' di un talento che nelle capacita' espressive della musica trova la sua unica realizzazione. "A torto o a ragione", pur risentendo della derivazione teatrale, riesce a rendere interessante la staticita' della messa in scena grazie all'interpretazione degli attori e alla potenza del conflitto rappresentato. Bravissimo Stellan Skarsgard, che interpreta con aderenza i moti interiori di un uomo diviso tra la purificazione dell'arte e i compromessi che ha dovuto/voluto accettare per coronare i suoi sogni di gloria. Harvey Keitel interpreta con convinzione il maggiore Steve Arnold, ma non esprime quel carisma che avrebbe potuto trasformare l'indagine in uno scontro tra personalita'. In questo non e' aiutato dalla sceneggiatura, che ci dice poco del suo personaggio e focalizza l'attenzione sulla contrapposizione tra arte ed etica. Facile scegliere una posizione ben definita oggi, forse meno facile schierarsi quando e' in gioco la propria vita e senza cedere alle lusinghe del potere. Furtwangler avrebbe potuto fuggire all'estero, come molti altri suoi colleghi, ma sceglie di restare e di diventare un uomo immagine del regime, presenziando ad eventi importanti come il compleanno di Hitler. Il film, pero', non cerca risposte certe e non si preoccupa di giudicare, ma tenta di inserirsi nelle pieghe variegate dell'animo umano, offrendo interessanti spunti di riflessione. Nonostante l'assenza di azione e la prevalenza del dialogo, si partecipa con emozione alle diverse fasi dell'indagini, grazie anche ad una regia essenziale (a volte, pero', come nella gestione delle comparse o nei pochi esterni, un po' approssimativa) che preferisce lasciare alla storia piuttosto che alle immagini il compito di parlare alle coscienze.