TRAMA
Parigi, 24 dicembre. Sarah (Alysson Paradis), una giovane fotoreporter al nono mese di gravidanza, deve passare la sua ultima notte a casa prima di essere ricoverata in ospedale per partorire. Quattro mesi prima ha perso il marito in un terribile incidente stradale e adesso, disinteressandosi apertamente del cenone natalizio e della rivolta che impazza nella banlieue, la sola cosa che desidera è starsene da sola senza preoccupazioni: consegna un mazzo di chiavi a Jean-Pierre (François-Régis Marchasson), il suo capo redattore che dovrà accompagnarla in ospedale la mattina dopo, e si chiude in casa. Ma qualcuno bussa insistentemente alla porta…
RECENSIONI
Carneficina. L'horror di Alexandre Bustillo e Julien Maury è un'autentica carneficina. Ma non è certo la semplice macelleria, peraltro sfarzosamente allestita, a fare di À l'intérieur uno degli horror più disturbanti e devastanti della storia del genere e un'esperienza visiva letteralmente sconvolgente. 'Horror letterale' è la definizione che meglio si adatta a un film che rende improvvisamente reali le mille metafore che si usano, spesso a sproposito, per descrivere coloritamente le pellicole del genere. Il fatto è che À l'intérieur mortifica e ridicolizza in un colpo solo le centinaia di horrorucoli usciti negli ultimi anni, lasciando in vita soltanto pochi, pochissimi esemplari della specie. A chi spaccia questo film come un rozzo splatter a elettroencefalogramma piatto non date retta neanche per un istante. E ora, per punti, vi diciamo perché.
1. CREDIBILITA' DELLA VIOLENZA E VERIDICITA' DEL BAGNO DI SANGUE: l'estremo realismo delle immagini ci cala immediatamente in un'atmosfera semidocumentaristica quasi clinica (la prima sequenza del film mostra Sarah sdraiata sul lettino mentre un ginecologo le pratica un'ecografia), non lasciandoci mai uscire da questa categorica impressione di realtà. Per quanto parossistiche, le esplosioni di violenza (e i bagni di sangue che ne conseguono) sono orchestrate con assoluta veridicità grazie a makeup ed effetti speciali semplicemente prodigiosi.
2. CRESCENDO DI FEROCIA E IMPLACABILITA' DELLA CATTIVERIA: l'assoluta coerenza con cui i personaggi tengono fede ai loro ruoli senza tentennamenti o esitazioni testimonia una radicalità narrativa e un controllo della materia esemplari. Questa rigorosa continuità assicura tenuta drammatica e tensione costante, rendendo implacabile il progressivo accanimento della donna vestita di nero (Béatrice Dalle) su Sarah e su chiunque altro intenda intralciare il suo delirante (e dilaniante) progetto.
3. FREDDEZZA E IMPASSIBILITA' DELLA MESSA IN SCENA: a differenza della stragrande maggioranza di horror in circolazione (tutti camera a spalla e immagini concitate), l'estetica filmica squadernata da Maury e Bustillo è geometrica e distaccata. Anche quando la mattanza imperversa, la composizione dell'inquadratura è sempre netta, chirurgica, glaciale. Operato su una materia così tumultuosa, il distacco stilistico crea una sensazione di lucida oggettività, esaltando la corporeità delle immagini.
4. AGGRESSIONE SENSORIALE: se la messa in scena è rigorosamente geometrizzante, l'impasto audiovisivo assume spesso configurazioni bloccanti o frastornanti (il montaggio porta la firma del geniale Dexter), sintonizzandosi su fastidiosi ronzii tenuti all'inverosimile o cortocircuitando all'improvviso in scioccanti intermittenze elettroconvulsive. L'assalto sensoriale che ne deriva è spaventoso: non si ha il tempo materiale per settare i parametri audiovisivi su un regime uniforme, siamo percettivamente offesi e delocalizzati.
5. POLITICITA': À l'intérieur è un film politico e lo è sia in modo diretto che indiretto. Se la rivolta degli immigrati nella banlieue parigina fa da minacciosa cornice alla vigilia di Natale (giornali, televisione e poliziotti non fanno che parlare degli scontri in atto), lo spettro dell'immigrazione e la difesa della razza sono i nuclei fobici profondi del film. La perdita del proprio figlio (la purezza da preservare) a causa dell'altro (l'estraneo, l'intruso) è il terrore primario, la madre di tutte le angosce. Sarah a un certo punto si fabbrica una lancia e parte al contrattacco brandendola come un primitivo: chiunque minacci appartiene a una tribù, è uno Zulu. La paura profonda a cui il film dà forma ha un nome preciso: xenofobia.
6. LINGUAGGIO ESSENZIALE E PSICOLOGIE AZZERATE: all'involuzione difensiva della società francese tematizzata dal film (il ventre materno come luogo simbolico da proteggere), fa eco la regressione linguistica e la depsicologizzazione dei personaggi. Sarah risponde al dottore che le fa l'ecografia a monosillabi e grugniti, riservando lo stesso trattamento a un'infermiera sadica e all'amica Louise. Lungo il film, gli scambi verbali tendono a diventare sempre più immediati e istintuali, riducendosi infine a ordini, pianti e urla di disperazione. Non va diversamente per le psicologie: ogni sfumatura è perentoriamente cancellata a favore di un'elementarità che è al tempo stesso funzionalità narrativa e strategia politica. Francesi/immigrati, interno/esterno, sicurezza/pericolo: la logica dicotomica che sostanzia la xenofobia si trova enunciata a lettere chiare e sanguinanti. Fin dal titolo: À l'intérieur.