TRAMA
João Fernandes possiede una delle più grandi proprietà fondiarie d’Europa sulla riva meridionale del fiume Tago. Il racconto scava nei segreti della proprietà, rappresentando le vicende del Portogallo a partire dagli anni Quaranta, passando per la Rivoluzione dei garofani fino ad arrivare ai giorni nostri.
RECENSIONI
Lo storico produttore Paulo Branco (Monteiro, Ruiz, de Oliveira) punta su A Herdade di Tiago Guedes, melodramma che attraversa la Storia portoghese del Novecento: dalla dittatura di Salazar alla Rivoluzione dei garofani del 1974, per poi muoversi a ellissi nell’arco degli anni fino al 1991. Il passaggio nel tempo avviene per interposto personaggio: il proprietario terriero João Fernandes, incarnato in Albano Jerónimo, che affronta l’evoluzione storica, politica, economica e sociale dello Stato. In verità il prologo è ambientato nel 1946: il piccolo João osserva il corpo del fratello impiccato a un albero e il padre impartisce una lezione, indimenticabile, sul “pericolo” della debolezza. Sarà la consegna di un’intera esistenza: da possidente orgoglioso e inflessibile, l’uomo rifiuta di piegarsi al dettato della politica e respinge lo spirito del tempo. Dice il regista: «La ‘herdade’ (la tenuta), che ha origine dal latino ‘hereditas’, è un regno dominato da un uomo carismatico e progressista, in un Paese sottoposto a una dittatura fascista (...). Il luogo è una metafora di ciò che accade al protagonista. Sia la proprietà che l’uomo, entrambi inizialmente grandiosi, con il passare del tempo sono inevitabilmente destinati a scontrarsi con i venti del cambiamento, a rivelare imperfezioni e zone grigie».
È così che João ci viene presentato come tenace resistente al regime autoritario, salvo poi, gradualmente, ombreggiare la sua figura rendendola più problematica e crepuscolare. La scena dell’uomo che penetra nella stanza della domestica segna una svolta: chiarisce che da una parte c’è il personaggio pubblico, dall’altra quello privato che esercita il potere su donne, figli (legittimi e non), di fatto “domina” la sua stessa famiglia riflettendo la condotta esterna su quella intima. Intorno a lui si dispiega la prole, con un doppio figlio/figliastro opposto e speculare, la figlia e la moglie Leonor interpretata da Sandra Faleiro, donna “prigioniera” del marito che solo alla fine compie un gesto di rottura. La storia si intreccia con la Storia: Novecento è il modello più evidente ma non solo, si prenda anche la traccia - dello stesso regista - che vede João in veste di re e la tenuta come suo regno, destinato a sfasciarsi non per un antagonista materiale, bensì sotto i colpi del Tempo e della Storia, che sono i veri “cattivi” della fiaba. La scrittura però avanza per tappe previste e non riesce a ravvivare il genere: presto lampante è l’esito della parabola di João che, al termine del percorso, incontrerà naturalmente la caduta come segno della transitorietà delle cose umane. In concorso a Venezia 2019, A Herdade è cinema popolare portoghese lontano dai grandi autori (oggi Miguel Gomes, Pedro Costa, Rita Azevedo Gomes), che esegue correttamente il suo prevedibile compito, diventando a tratti prolisso e riscattandosi con alcuni squarci visivi: il piano sequenza alla festa, preludio alla rovina del “regno”, e tutta la scena finale.