A CORTE DO NORTE

Anno Produzione2008

TRAMA

Un mistero insoluto attraverso le generazioni nella spettrale corte sull’isola di Madeira.

RECENSIONI

Per me il cinema non è un’arte pura: prende dalla musica, dalla poesia e dalla letteratura. Il film è girato in digitale per avvicinarlo di più alla pittura, ho scelto un quadro di Caravaggio per dare l’idea di chiaroscuro.
Joao Botelho

Tale dichiarazione del regista specifica il suo modus operandi e la materia (meglio: le materie) che informa A Corte do Norte, tratto dal romanzo omonimo di Agustina Bessa-Luìs, scrittrice-riferimento anche per De Oliveira (su tutti Il principio dell’incertezza, ma non solo): sincretismo accumulativo puro, non un “film unico” ma l’intreccio di molte deviazioni, calembour concettuale che racconta di personaggi che raccontano (una caratteristica di Botelho: esattamente come in O Fatalista), tutti riassunti nella sontuosa interpretazione quadrupla di Ana Moreira (Sissi, Rosalina, Emilia, Águeda, Rosamunde). Obiettivo usare la cinepresa per ricreare altre forme: logico dunque che si respingano le coordinate della narrazione tradizionale (non c’è né “qui” né “ora”, solo il “dove”: una tenuta fantasmatica), in questo titolo irraccontabile dove molto confluisce; dalla cornice gotica all’incipit piratesco, dalla donna che visse più volte alla chabroliana maledizione generazionale, con figure stilizzate sull’arco cronologico che rispondono sempre ai medesimi richiami: nei secoli non si attenua la pressione nobiliare, l’obbligo dell’etichetta, lo spleen generalizzato e l’inclinazione al suicidio. Figure come ombre che entrano/escono da un cono mortuario, chiuse in interni intasati e stanze stringenti (devastante scenografia ipertrofica di Catarina Amaro, dominata dalla copia di Giuditta e Oloferne); che si apprestano all’astrazione e diventano simboli, segni dal passato (il fazzoletto e i guanti), fino a sparire totalmente – la baronessa che si getta in mare: piuttosto che suicidio, va considerata una scomparsa, come segnalato dal lento e ineffabile movimento circolare della macchina da presa.
La passione di Emilia per il marito e l’attrazione di Rosalina per il padre, la riproposizione degli stessi attori come disorientante “ricorso” visivo; la gelosia di Águeda verso il fratello, questi che si avvicina alla governante; la moglie defunta di Barros che torna nelle vesti di prostituta: se il punto del discorso è un complesso garbuglio di parentela deviata, dunque, Botelho ha il pregio di portarlo al parossismo per poi scioglierlo in sintetici, splendenti quadri figurativi. Fondamentale avvertimento diegetico iniziale: “Ascoltate la mia voce e seguitemi, così non vi perderete”.
Il film più bello del Concorso.