A CHRISTMAS CAROL

Titolo OriginaleA Christmas Carol
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2009
Durata96'
Sceneggiatura
Tratto dadal racconto di Charles Dickens
Fotografia
Scenografia

TRAMA

C’è davvero bisogno di “riassumere” la trama del Racconto di Natale di Charles Dickens? Crediamo proprio di no.

RECENSIONI

Zemeckis insiste, dunque. E questo suo indomito persegui(ta)re un’idea di cinema “del futuro” tutto digitale e performance captur-ato merita rispetto: il medium che si fa messaggio, la componente tecn(olog)ica parte integrante del processo creativo e vera portatrice di senso, la volontà di guardare oltre. E poi Dickens e il 3D, non proprio una trovata qualunque né banale, con la prosa immaginifica del Nostro, materica, polisensoriale, unica nella sua capacità di transustanziare il verbo in carne, nel dare alla parola scritta consistenza visiva, sì, uditiva certo, ma anche olfattivo/gustativa e, per l’appunto, concreta, tattile, tridimesionale. A Christmas Carol è anche questo. La coraggiosa traduzione di un modus scribendi in un modus filmandi che gli renda giustizia, il qui e oggi dell’effettistica speciale “volumetrica” al funzionale servizio del Narratore Ottocentesco per Antonomasia. Coraggiosa e per larghi tratti riuscita traduzione, o quantomeno efficace.

Ma, in fondo, stiamo sempre parlando di tecnica. Ora, correndo il consapevole rischio di passare da rincoglionito, azzardo che Zemeckis sta tralasciando tutto l’aspetto emotivo della faccenda cinema e gira film semplicemente “freddi”. CGI e freddezza, un binomio un po’ stantio, che però, specie in questa trasposizione di Dickens, si mostra in tutto il suo esserCi. Perché il Racconto di Natale di Robert Zemeckis è opera estremamente distaccata, glaciale, che perde più o meno completamente di vista “il racconto” e procede a tentoni, per quadretti più o meno riusciti ma che manca di un vero farsi lineare e coerente (e avvincente). Difetti questi ascrivibili – in parte – anche alla fonte letteraria ma che il film, in virtù di alcuni tagli e di altre scelte sulle quali torneremo, finisce per amplificare. La scarsa credibilità del personaggio principale, la sua (ehm) bidimensionalità, si impongono con prepotenza. Ebenezer si converte in fretta e furia, con pochi accenni di evoluzione psicologica, per mero “dovere narrativo”. La sua parabola ha, parimenti, una progressione schematica e poco interessante, soffocata dalla cronologica chiarezza espositiva (passato – presente – futuro da cambiare).

Tutti questi limiti, si accennava, in Dickens esistono già ma in Zemeckis deteriorano. Perché se Dickens, comunque, continua a raccontare e non perde mai di vista l’obiettivo commozione (che alla fine arriva, eccome) Zemeckis si perde ad illustrare. Crea atmosfere, certo, disegna passaggi e paesaggi suggestivi, ma sembra poco o punto interessato a “cosa” sta dicendo. E se la cosa andava benissimo in Beowulf, con A Christmas Carol si rischia il tracollo e, smarrito il Cuore della vicenda, si corre ai ripari emotivi con l’effetto un po’ grossolano e l’emozione facile: i (pur presenti in origine) elementi Gotici diventano decisamente Horror, la sobrietà di alcuni passaggi cede il passo al sovraccarico (la trasfigurazione del batacchio nel volto di Marley, da naturalmente misteriosa, diventa un classico effetto sorpresa) mentre le magiche ellissi del racconto (i “viaggi istantanei” di Scrooge insieme al primo spirito) diventano occasioni di spettacolarizzazione fine a se stessa, con l’effetto parco-giochi sempre in agguato (i voli vertiginosi sui tetti o fra gli alberi, col dio-regista che tutto può e tutto filma nel suo eden digitale).