TRAMA
Un gangster si costituisce per rendere la vita più facile al fratello che è entrato in polizia. Quest’ultimo, però, non crede alla sua redenzione e il passato criminale lo perseguita.
RECENSIONI
Dopo una serie di commedie su commissione e vari “wuxiapan”, qualche flop ed una carriera registica finita in Taiwan, John Woo (alias di Yu Shen Wu) ha avuto il coraggio di “cambiar vita” come il suo protagonista, rinascendo dalle ceneri come una fenice, aiutato (non previ favori precedenti da ricambiare) dal produttore e regista Hark Tsui: A Better Tomorrow è stato campione di incassi in oriente e ha definitivamente sdoganato il cinema asiatico in occidente, ha fatto di Yun-fat Chow un’icona e del suo regista l’alfiere del nuovo genere “heroic bloodshed” (violenza epica, lirica, melodrammatica). A sconcertare non sono solo le inedite meraviglie delle sue scene d’azione e delle sparatorie, danzanti e sovrannaturali, ma anche la forte impronta moralistica controcorrente: negli Stati Uniti John Woo sarà ingaggiato per le prime, ma a caratterizzare davvero l’autore è la seconda, il lirismo del racconto (rifacimento di un film di Kong Lung del 1967), il (ri)porre in primo piano valori tutti orientali (ma) desueti con codice morale, amicizia virile, onestà, legami di sangue, bene che trionfa sul male, redenzione per un domani migliore. Il rischio, quello che comunque non fa di quest’opera la migliore di John Woo, è di scivolare nel patetico (con tanto di violini), di affidare agli interpreti umori stereotipati, di essere grossolani nel buonismo. Per fortuna, le trame della storia si intrecciano in un modo coinvolgente che evita il semplicismo nel disporre le fazioni di giustizia ed ingiustizia. Per fortuna, il repertorio di psicologie utilizzato è “classico” ma variegato. Per fortuna, non si preme l’acceleratore sulla commedia che, fra registri calcati già in campo, sarebbe oltremodo fuori luogo. Fan dichiarato dei gangster “romantici” di Jean-Pierre Melville, Woo è stato accostato a Scorsese per lo studio “tribale” sui malavitosi e per la commistione di violenza grafica e messaggio edificante e, ovviamente, a Peckinpah per il frequente utilizzo dei ralenti: ma a fare la vera differenza è il suo modo di raccontare con sincero trasporto, credendo in quel che dice e mostra. La versione doppiata in italiano è arbitraria. Il titolo in cantonese significa “I veri colori dell’eroe”.
