Avventura, Recensione, Storico

CIVILTÀ PERDUTA

Titolo OriginaleThe Lost City of Z
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2016
Durata140'
Sceneggiatura
Tratto dadal libro Z. La città perduta di David Grann
Fotografia

TRAMA

Storia del militare ed esploratore britannico Percy Fawcett, colui che andò e ritornò nella giungla del Sudamerica per rivelare al mondo intero (senza riuscirci) l’esistenza di un’antica civiltà perduta.

RECENSIONI

The Immigrant, The Lost City of Z. Nella bellissima macchina del tempo che è diventata ultimamente la sua produzione, e nel mondo che può rinascere o morire a Ellis Island o nella giungla amazzonica, gli umani, potentissimi smarrimenti dei suoi personaggi continuano a ridefinire le rotte della ricerca dell'esploratore Gray. Ma in questo ultimo film, la sopravvivenza al peso della realtà di quelle figure, di quei sentimenti, di quelle storie, si concretizza in un movimento forse opposto, in una ipnotica anomalia. The Lost City of Z, che la distribuzione italiana trasforma in un più pallido Civiltà perduta, porta il suo sguardo dove ancora non era arrivato (e che per più di qualcuno ha manifestato i suoi esiti migliori fino a Two Lovers, involvendosi e appesantendosi in seguito): in un romanzo d'avventura, in un set itinerante nella foresta pluviale colombiana (che diventa Bolivia, Brasile), in un immaginario già sondato o messo al mondo da Arthur Conan Doyle, da Werner Herzog... Percy Fawcett, protagonista del film e figura realmente vissuta, è il compimento e il paradosso, la disfatta (ennesima) del corpo a corpo che il regista di New York, dai tempi di Little Odessa,  instaura tra la vita e il suo racconto in finzione, in cinema. Ma Civiltà perduta, tratto dall'omonimo (rispetto al titolo originale del film) libro del giornalista David Grann, pubblicato nel 2009, non è una sommatoria delle sue opere precedenti, piuttosto un nuovo film sorprendente, il Gray più audace e misterioso visto finora, sfuggente. E se è difficile scriverne, è proprio perché tutto questo, paradossalmente, il regista, lo fa apparire 'semplice', naturale, essenziale, a maggior ragione se si tratta di un'opera in cui lo struggimento, il desiderio, la caduta, la perdita dei suoi protagonisti - come in passato - restano, e anzi si fanno ancora di più abisso, ma dandosi qui forme modificate, in una narrazione apparentemente, falsamente, più controllata e piana: più 'scritta', programmatica, didattica, dove l'incandescenza e la vertigine sono però sottotraccia (ricordate A Dangerous Method di Cronenberg? Jung, Freud, Sabina Spielrein' Ecco, forse Civiltà Perduta  è il Method pericoloso di Gray).

Progetto lungo e faticoso, accantonato per girare The Immigrant (C’era una volta a New York) e poi ripreso; un ruolo, quello di Fawcett, militare ed esploratore britannico,in un primo momento pensato per Brad Pitt (tra i produttori del film e presto interprete con Tommy Lee Jones del prossimo film di Gray, Ad Astra, ambientato nello spazio), mentre gli scenari successivi porteranno dapprima a Benedict Cumberbatch e infine, definitivamente, a Charlie Hunnam, nonostante le iniziali perplessità del regista (la serie Sons of Anarchy lo aveva tratto in inganno ma scoprirà che l’attore è in realtà inglese e non, come credeva, americano). E non c’è bisogno, qui, degli occhi spiritati, folli di un Klaus Kinski per nutrire l’ossessione, non c’è bisogno della lucidissima radicalità herzoghiana alla ricerca di ciò che il mondo ancora nasconde; Fawcett non ha grandiosità, non è figura assoluta, straordinaria, anche la sua fallibilità non è clamorosa, estrema, violenta. Gray sta dalla sua parte, quella del suo sogno, del suo desiderio,ma è la lacerazione che individua, che segue, che – come sempre, del resto  – gli interessa raccontare, mettere in scena, allestire, quell’essere sempre diviso del suo protagonista, nel tempo, nello spazio, nel cortocircuito delle emozioni, degli affetti, della volontà. La sua condanna. È difficile trovare nella filmografia del regista un personaggio più sradicato, più tragico di Fawcett. La giungla ha messo vorticose, inestirpabili radici dentro di lui, ombreggia i suoi pensieri, intreccia i piani come liane, e quando la pugna violenta della prima guerra mondiale gli toglie  momentaneamente la vista, sotto quelle bende è l’Amazzonia che vede, eppure con le mani profila i lineamenti dei volti dei suoi figli, di sua moglie illuminata (Sienna Miller). Ed eccolo Gray orbitare intorno al centro focale che lo rende regista solido e profondo: la famiglia, il legame assoluto che non è più forte dell’impresa ma la compenetra, comprende, nutre e, alla fine, sostanzia. È lì che ritorna Fawcett sempre, nella realtà e nel sogno, la famiglia è la casa del suo corpo come la città di Z lo è del suo spirito.

Anche Gray, che si è portato metri e metri di pellicola 35 millimetri nel cuore della foresta per girare alla sua maniera, senza vedere mai i giornalieri, per – piuttosto –  «diventare il film», nella giungla ci è andato trascinatovi da Fawcett, silente non eroico inoculatore del virus della scoperta incompiuta, portatore comunque del contagio inesorabile dell’andare oltre ciò che si può afferrare, del morbo antico di Ulisse. Infetta tutti, in fondo, l’esploratore da principio riluttante, dai suoi uomini (Robert Pattinson e Edward Ashley) che lo seguono senza tema due volte in quell’incubo mortifero pluviale e poi nell’inferno della trincea, all’Inghilterra che prima lo acclama come eroe e poi lo deride come visionario; dal signor Murray (Angus Macfadyen) che ne rilancia l’impresa, fino a suo figlio (Tom Holland) che porterà a perseguire «un viaggio che gli altri uomini non possono immaginarsi», l’ultimo, dissennato, che lo consegna con lui in una vibrante, lunghissima sequenza che ondeggia la risacca del deliquio – tra il presente del misterico rituale cannibale e il passato di una felice tavola familiare – alla morte. Ma l’ultima contagiata è lei, sua moglie che, nella scena finale, di suo marito, dell’impresa ineluttabile, diviene specchio e si consegna, in perpetuo, al verde del fogliame e dell’ infondata speranza. Sì, una città di Z esiste.