Drammatico

INDIVISIBILI

TRAMA

Viola e Dasy sono due gemelle siamesi diciottenni che cantano alle feste e alle ricorrenze religiose e, grazie a questa redditizia attività, mantengono tutta la famiglia.

RECENSIONI

In Indivisibili, film sulla crescita e sul cambiamento come passaggio doloroso, Viola e Dasy, gemelle siamesi mai separate, costituiscono una creatura unica e bina, racchiudono bellezza e mostruosità, suscitano desiderio e ripulsa. I familiari, che le usano come attrazioni canore, non hanno alcun interesse a dividerle: la continuità della loro condizione si giustifica con l'alibi di una normalità che, nel mondo devastato del profondo Sud, equivale a normale povertà, normale mancanza di speranze e prospettive. La loro felicità è stata sacrificata in nome di una sopravvivenza tutta attuale, fatta di gadget e piccoli lussi goduti in mezzo allo squallore: le due sorelle sono diventate merce in mezzo ad altra merce, vittime e oggetti del degrado della società dei consumi (in questo, e non solo, il parallelo con Marco Ferreri, esplicitamente citato, diventa imperativo) e la loro separazione è lo spettro di una famiglia tenuta insieme dall'inganno, dal collante malsano di una finta inscindibilità.

De Angelis esplora le possibilità di una narrazione in cui il percorso delle protagoniste verso la finale liberazione assuma i tratti di una favola che, alla febbre contemporanea dell'esposizione a tutti i costi, opponga la ricerca di una regolarità quieta: in una realtà divenuta grottesca, al confine indistinto col reality, il sogno di cui si dà conto non è allora la ribalta, ma il suo esatto contrario, la fuga dai riflettori.
L'impianto visivo trasuda sensorialità, colpisce per l'attenzione spasmodica all'ambiente (caratteristiche e dettagli) e per la sottigliezza nel tratto di personaggi simbolici, da un lato, e concretamente umani dall'altro, verosimilmente sociologici. Il regista - maneggiando un immaginario genuino, popolare, in cui leggenda, superstizione, religione, spettacolo si mischiano - pur lambendo il paradosso, non pare davvero interessato a un sovraccarico "autoriale" dell'immagine, preferendo lasciar parlare l'evidenza delle cose: lavorando su figure-emblemi, gira dunque un film profondamente impregnato degli umori del territorio (il litorale domiziano), se ne fa interprete e, come oggi riesce solo a Capuano, esalta la caratteristica di una regione che i suoi miti non li ha mai importati, se li è sempre creati, facendone icone uniche, esclusive.