TRAMA
Il crepuscolo di Madame Foster Jenkins (1868-1944), socialite, patronessa delle arti e probabilmente la peggiore cantante d’opera mai esistita.
RECENSIONI
Stephen Frears aggiunge un gioiello, in apparenza modesto (ma legato con arte superba), alla sua galleria di ritratti femminili: come Madame de Tourvel, Elisabetta II, Léa (Chéri) e Philomena, Florence è al tempo stesso oppressa e tenuta in vita dal suo sogno, ovvero da un'idea di sé che non trova appigli nella realtà oggettiva (fieramente avversa, anzi), ma unicamente nell'ossessione. Immagine che si autoalimenta e prende possesso del corpo (e della mente) come una malattia, il suo sgretolarsi non può che segnare la fine dell'eroina, che riesce però a trionfare di se stessa, conseguendo comunque il risultato sperato, ovvero quello di dare gioia, anche solo per un istante, a chiunque abbia scelto di ascoltarla. Attorno alla primadonna, più contenuto, ma non meno sentito, rilievo hanno le figure maschili, che il regista tratteggia con ironica reticenza, senza giudicarle, ma lungi dall'assolverle con formula piena: fino a che punto la compiacenza del marito e del giovane pianista è sincera e quanto invece è venale, ipocrita o semplicemente compassionevole? Non lo sappiamo, non è neppure importante, perché, come ricorda la morente Florence, il giudizio passa, il fatto resta. Così come resta la capacità del regista di inventare (in Inghilterra) una sontuosa New York anni Quaranta e di conferire anche ai personaggi minori (in primis quello di Mrs. Stark, la cui evoluzione di ascoltatrice, da incredula neofita a sincera fan di Madame Florence, accompagna e guida quella dello spettatore) un rilievo tale da renderli memorabili.
Lascia, se possibile, ancor più ammirati la sapienza nel dosare sorrisi e lampi grotteschi, patetismo e tragedia: la Musa messa in scena, per (in)consapevole burla, nel prologo ricomparirà alla fine, trasfigurata nell'Angelo della Morte, mentre Florence, che non ha potuto essere madre, coglie il suo maggiore trionfo nei panni della più feroce genitrice della storia dell'opera, la mozartiana Regina della Notte. Indagine ellittica quanto plausibile di una storia che sembrerebbe semplicemente impossibile (se non fosse vera) e di un mondo sull'orlo della scomparsa, che in quella storia si riflette ed è costretto a riconoscersi, Florence è anche, per non dire soprattutto, l'opera di tre interpreti straordinari, sui quali pioveranno premi di ogni genere e qualità: Simon Helberg (noto soprattutto per il ruolo di Howard Wolowitz nella sitcom The Big Bang Theory) non sfigura al fianco di una Streep per la quale si sono esauriti (e non da oggi) gli aggettivi e di un Grant che può finalmente volgere in (in)felice maturità il proprio sempiterno personaggio d'inappuntabile e rarefatto dandy.
E se questo film di Frears, oltre a narrare la storia di Florence Foster Jenkins nei toni della commedia sofisticata, intendesse dirci qualcosa sul nostro tempo? Mi chiedo se dietro la negazione pervicace della realtà che Florence pratica, non si annidi il ritratto di un atteggiamento tutto contemporaneo che della costante negazione di una condizione, del credersi diverso, del non accettare i propri limiti, del farsi incensare, applaudire, promuovere, approvare ha fatto un'esigenza e una droga obnubilante. Un meccanismo di difesa contro dolore e delusione attivato grazie ai mezzi che si hanno a disposizione (ieri i soldi dei ricchi per affittare i teatri, oggi un account accessibile a tutti nel quale ricrearsi una verginità intellettuale, culturale, estetica).
Gli sforzi di St. Clair (Hugh Grant) per creare una condizione in cui l'illusione di Florence (Meryl Streep, who else?) possa trovare campo libero non equivalgono alla narrazione di una favola, alla costruzione di un mondo virtuale nel quale possa scorrere una vita parallela, costantemente perfettibile, in cui la conflittualità è assente, la disapprovazione può essere bandita, il rimprovero disinnescato e in cui vige l'applauso coatto? L'impostura dello spettacolo dilaga fuori dal palcoscenico (The Truman Show?) e inganna la stessa Florence che non mette in dubbio le sue doti, ci crede oramai fermamente. La critica che stronca la sua esibizione è quel bagno di realtà che ha sempre evitato e che, portandola di peso di fronte allo specchio, quello di una persona priva di talento, ne decreta la presa di coscienza e, dunque, la morte.