TRAMA
Virginia 1831. Nat Turner (lo stesso Nate Parker) è uno schiavo istruito che, per le difficoltà economiche del padrone, viene utilizzato come predicatore a pagamento per imbonire altri schiavi. Al contrario delle intenzioni, sarà il seme di una rivolta.
RECENSIONI
Nel nuovo cinema americano che riflette sulla Storia applicata alla questione razziale (da citare almeno, in ordine cronologico, The Help, The Butler, 12 anni schiavo, Free State of Jones e Loving), The Birth of a Nation propone lo sguardo più voyeuristico: l’esordio alla regia dell’attore Nate Parker vuole esplicitamente colpire. Così il percorso del suo protagonista Nat Turner deve essere chiaro e riconoscibile: dalla situazione di partenza, la schiavitù degli afroamericani in Virginia nel primo Ottocento, egli sembra ottenere una condizione migliorativa grazie al suo ruolo di predicatore/imbonitore che viene strumentalizzato dai bianchi per mantenere l’ordine (se soffri in questa vita non preoccuparti, andrai in paradiso). In realtà però Nat, predicando nelle piantagioni, è tutt’altro che un privilegiato e anzi sopporta il peso del vedere: osservare, constatare concretamente le condizioni disperate e la violenza inferta contro i neri, graziati o vessati a seconda del carattere del padrone (e i raccoglitori di cotone nella stalla sono apertamente paragonati ad animali), ma c’è differenza solo nell’intensità del danno perché la sostanza del dominio è identica e presuppone la certezza di una minorità. E allora Nat, gradualmente, inizia a parafrasare le pagine della Bibbia, che sono sempre polisemiche e invitano sia alla sottomissione che alla rivolta: la presa di coscienza sta avvenendo, e dunque si può iniziare a preparare la ribellione. Un’azione perdente, certo, che si risolve in massacro ma segna l’inizio di qualcosa e il primo bagliore di una fiamma che divamperà. La parabola passa attraverso i caratteri più archetipici, dallo schiavista spietato al “buon padrone” che parlano comunque la stessa lingua, dal nero rassegnato a quello più rivoltoso, dall’antagonista all’aiutante più illuminato (la donna che istruisce Nat).
Davanti a un racconto del genere, come evidente, diventa essenziale la scelta stilistica. Ed è questo il punto di The Birth of a Nation: Parker enfatizza, mostra violenza e sofferenza senza stacchi (come la distruzione dei denti di uno schiavo che rifiuta il cibo), inquadra la lacrima che si forma lentamente sul volto di una vittima. Il suo cinema civile è un discorso ad alta voce, che sceglie il più classico approccio pornografico alla messinscena del dolore: insiste, rimesta, disturba, sia fisicamente che idealmente, come nella scena in cui vediamo una bambina bianca tenere a guinzaglio una bambina nera nella concretizzazione dell'iperbole cane-padrone. Tutto è eccessivo, il pathos sempre imposto, in un'idea tutto sommato coerente con se stessa: l'obiettivo dell'attore, sceneggiatore e regista, a quanto pare, è raggiungere il maggiore pubblico possibile con storia palese, indignazione spettacolare, significato di marmo. Si chiama come Griffith e si comporta come Braveheart: lo spettatore è esposto alla tensione continua, al confronto col lirismo della tragedia. La possibilità di accoglierlo o respingerlo riguarda la propria persona, la capacità di accettare l'eccesso, assecondare il troppo, considerare lecito il sovraccarico. A livello, quindi, 'personale' mi resta un dubbio: siamo certi che per dialogare con la massa serva un'estorsione sentimentale? Poi c'è indubbiamente del buono, ci sono sequenze riuscite, per esempio lo scontro finale che, pur arrivando dopo una preparazione troppo prolissa, riecheggia il cinema bellico hollywoodiano e - finalmente - esagera giustamente perché inscena l'esplosione di una rivolta. Ma, davvero, questo The Birth of a Nation è troppo esclamativo per imporsi, il suo antinaturalismo supera il limite: lo fa definitivamente nell'esecuzione di Nat, con inquadratura statica sul volto progressivamente asfissiato dal cappio, magnificato dalla locandina americana, in un sacrificio che prelude perfino a una visione (il tormento è presagio dell'estasi). A chiusura, per puntualizzare ancora, ecco la trasfigurazione del nero, ieri violentato dal padrone bianco e domani mandato a morire nell'esercito dell'Unione. E la catena dello sfruttamento continua. Gran premio della giuria e premio del pubblico al Sundance 2016.