TRAMA
In un passato remoto, in un villaggio semi-abbandonato ai piedi di una montagna vive Agostino con la moglie Nina e il figlio Giovanni. La montagna si erge come un muro contro i raggi del sole, che non arrivano mai a illuminare la loro terra, ridotta a pietre e sterpaglia. Il film racconta la storia di quest’uomo e della sua famiglia, la loro sfida quotidiana per abbattere la montagna, la sua forza ancestrale e riportare la luce.
RECENSIONI
Il percorso registico di Naderi è segnato da ciclici azzeramenti rigenerativi. Era successo con Acqua, vento, sabbia (il suo ultimo film iraniano prima della scelta volontaria all'apolidismo – sia produttivo che culturale); si era ripetuto con Marathon. Monte sembra riportarlo nuovamente a una sorta di grado zero, che poi è la stessa condizione autoinflittasi dal padre, dalla madre e dal figlio di cui il film racconta la sfida titanica contro un paesaggio respingente, che li condanna a scoscesi pendii abbondanti solo di fatiche, paure, fame.
A proposito di Marathon Massimo Causo parlò di un film “infante”; lo stesso può dirsi di Monte. Per capire è necessario tornare all'etimo della parola, all’in-fans, termine che sta a indicare la condizione di chi è fuori dal linguaggio; che, nel caso dei personaggi del cinema di Naderi, diventa una vera e propria scelta: così fu per la protagonista del film del 2002, che si scontrava col proprio silenzio al rumore della metropoli; così è per la famiglia di Monte, la cui sopravvivenza prende davvero i contorni di una lotta ancestrale, che fa tabula rasa di ogni tratto culturale: il contingente non è più contemplato nell'orizzonte quotidiano, i giorni , la parola regredisce in grido primordiale e il gesto in atto animale.
Come il ragazzo di Acqua, vento, sabbia, scavava senza requie buche nel deserto, certo soltanto di non arrendersi alla sconfitta (del resto si sa che l'ossessione è il grande tema del cinema di Naderi: «Io – scrisse il regista in un intervento su “Filmcritica” intitolato "Oltre la linea del suono" - sono sempre alla ricerca di sfide con i film che faccio. Mi piacciono le sfide. Mi piace la dimensione del rischio e della follia, mi piace sfondare le linee di demarcazione e andare oltre. I miei personaggi sono uguali a me. Quando faccio un film non so mai se lo porterò a termine. Nelle situazioni impossibili io trovo me stesso. Spingendomi verso situazioni estreme spingo anche i miei personaggi e l’intero film verso il limite.»), anche la famiglia di Monte, con un'abnegazione prossima all'autodistruzione, infligge alla montagna, ostacolo invalicabile anche alla stessa luce del sole , furiosi e disperati colpi di martello («Non ci saranno molti colori – dichiarò il regista prima dell'inizio delle riprese - [...]. Spero di riuscire a raggiungere i toni del grigio e del nero e cercherò di catturare la luce dell’ombra»).
Si diceva in apertura dell'azzeramento rigenerativo; questo non si riscontra solo a livello stilistico (dopo una prima parte, che è ancora possibile collocare temporalmente – la stesse note di regia indicano il Tardo Medioevo -, e che risente, in termini recitativi, di un taglio da fiction televisiva, il film poi esplode in tutta la sua violenta pulsione astrattiva: quasi totale annullamento dello sviluppo tramico; continuazione della visione consegnata alle immagini, al montaggio e al suono), ma anche sul piano diegetico: i personaggi compiono veramente una parabola di morte e rinascita (indicativa in tal senso la corsa in tondo compiuta, a un certo momento del film, dal figlio, dove ogni ritorno coincide con una fase di crescita: lì alla fine è sempre stato; lì tornerà comunque. Immobile lo spazio a muoversi è il tempo).
È cosa nota quanto sia decisivo, in termini di estetica, per Naderi il trattamento del suono (un film – e un titolo – come Sound Barrier è una più che evidente dimostrazione), che il regista ha sempre trattato in prima persona cercando di esaltarne la qualità corporea, così da riuscire a creare uno spazio sonico quasi fisico che sembra emergere dallo schermo: qui a dettare la linea della composizione è come se fosse il respiro tremante della montagna; la vibrazione del tuono tellurico è ininterrotto leitmotiv che cresce e scende di frequenze senza però mai smettere di essere contrappunto al quadro. Fino alla deflagrazione finale, dopo la quale «ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole».
