Commedia, Sala

PIUMA

TRAMA

Storia di Ferro e Cate, due ragazzi come tanti, ai giorni nostri. Una gravidanza inattesa e il mondo che inizia ad andare contromano: la famiglia, la scuola, gli amici, il lavoro. Tra tentennamenti e salti nel buio, prese di responsabilità e bagni di incoscienza, i due protagonisti attraverseranno i nove mesi più emozionanti e complicati della loro vita.

RECENSIONI


Premessa. La ricezione di un film dipende (anche) dalle condizioni in cui questo viene fruito. Quindi mi pogo un dubbio legittimo: che il mio giudizio su Piuma sia stato compromesso dal contesto in cui l’ho visto: Mostra del Cinema di Venezia, in concorso. Se ne è discusso tanto, in maniera più o meno qualunquista: questo film in quel concorso non c’entrava niente. Non si tratta di un discorso snob: la commedia (fra tutti, il genere più difficile) è la benvenuta. Basti pensare al trionfo critico di Toni Erdmann, per esempio, in concorso a Cannes solo qualche mese prima. E il punto non è neppure che il film è “brutto” – tanti ce ne sono stati negli anni, questo compreso, in concorso e non. A volte il film si sbaglia, diventa “brutto”, per una prospettiva mal calibrata o un’ambizione dell’autore che non trova riscontro nella sensibilità di chi guarda. Il peccato mortale di Piuma è di non provarci neanche a sviluppare un discorso che sia suo, narrativamente o formalmente. L’appiattimento è totale e aggravato da una sorta di autoconvinzione di essere fresco e divertente. Come se bastassero degli adolescenti con l’accento romano per fare il miracolo. Il risultato è così un film dalla scrittura gravemente insufficiente, girato in maniera approssimativa, recitato senza controllo né direzione, sciatto nella cura dei comparti tecnici.


La premessa è quella di un Juno nostrano, con lo stesso dilemma al centro delle vicende: una gravidanza precoce e inaspettata, sulla quale bisogna prendere una decisione. A calamitare l’ago della bilancia un siparietto di situazioni e personaggi riciclati da millenni di cinema italiano televisivo-popolare: il confronto famiglia borghese vs famiglia disfunzionale, l’esame di maturità (oramai eletto a grande topos del romanzo di formazione contemporaneo), il viaggio post-maturità, i dubbi sul futuro delle nuove generazioni. Ed è proprio sui dubbi che i protagonisti dovrebbero porsi, al di là di ogni sofismo da critica cinematografica magari velleitaria, che il film si affossa definitivamente – perché manca un senso della realtà sociale, e un imperativo etico che guidi la narrazione. Mentre i mesi di gravidanza passano, il protagonista viene sistemato in un appartamento di proprietà dei genitori, lasciato a mollo in una piscina gonfiabile piazzata in salotto a riflettere su cosa vuol fare nella vita: andare in vacanza con gli amici, magari rimorchiarsi nuove ragazze. Il lavoro non c’è, ma non lo si cerca neppure: nessuno lo nomina, magari non serve. Perché nella realtà parallela di Piuma le decisioni vengono prese sull’impeto del momento e il balletto del “lo teniamo”, “lo diamo in adozione”, “no, lo teniamo” è un doppio passo meccanico. “Lo teniamo” perché alla fine è la decisione più commovente e tutti i personaggi si possono abbracciare. Lo appoggeremo in piscina, assieme a mamma e a papà.